La transizione ecologica italiana è finta?
Quello di Mario Draghi «sarà un governo ambientalista». Così si scriveva nel febbraio del 2022, nei giorni di passaggio di consegne tra Conte e il nuovo premier. Draghi aveva infatti affermato che «il nostro sarà un governo ambientalista, qualsiasi cosa faremo – a partire dalla creazione di posti di lavoro – deve andare incontro alla sensibilità ambientale e non andare a gravare la situazione».
A confermare queste affermazioni iniziali, il governo Draghi è stato il primo nella storia della Repubblica ad istituire il Ministero della Transizione Ecologica, affidandolo al fisico Roberto Cingolani. Si tratta nel concreto dell’abituale Ministero Ambiente, rafforzato però con nuove deleghe, e affidato a un tecnico di spicco quale l’ex presidente dell’Istituto italiano di tecnologia. E a confermarlo vi è il fatto che un terzo circa dei fondi destinati all’Italia tra Next Generation UE e altri fondi aggiuntivi è stato destinato proprio a progetti per l’efficienza energetica e per la riduzione dei cambiamenti climatici.
Ma il mondo propriamente ambientalista non sembra molto convinto dell’effettiva svolta verde del governo presieduto dall’ex Presidente della Banca Centrale Europea. Si pensi per esempio al commento di Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, che proprio a proposito del Pnrr di maggio aveva spiegato che sì, «non c’è dubbio che il Pnrr appena presentato abbia migliorato il documento del precedente governo Conte» ma anche che «rischiamo una grande occasione mancata, perché anche così rivisto, non ci siamo ancora».
E c’è perfino chi è arrivato a definire la transizione ecologica italiana come “finta”: sono le parole di Greenpeace, in relazione all’effettiva applicazione del divieto di vendita di oggetti in plastica monouso. E proprio intorno a questo preciso tema è possibile sforzarsi di trovare alcuni elementi preziosi per valutare l’effettiva transizione ecologica italiana.
Lo stop della plastica monouso e le criticità
Tutto parte da una direttiva europea del 2019, la quale aveva imposto un cambio di passo per quanto riguarda la plastica monouso, ovvero la cosiddetta SUP (Single Use Plastic). Da tale direttiva era stato formulato il decreto legislativo 196/2021 pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 30 novembre scorso, il quale è entrato in vigore pochi giorni fa, il 14 gennaio.
Di fatto, da venerdì 14 gennaio, in Italia è bandita la vendita di oggetti monouso non compostabili e non biodegradabili. Si parla di di piatti, bicchieri, posate, cannucce e tazze di plastica. È un passo importante, che doveva essere fatto sicuramente molto prima, considerando il fatto che – stando ai numeri Legambiente – l’84% dei rifiuti che si trovano lungo le nostre spiagge sono proprio di plastica.
A quanto pare, però, la legge permette delle scappatoie che proprio ambientaliste non sono. Si pensi per esempio al permesso di vendita dei prodotti monouso fino a esaurimento scorte, o si pensi ai tanti piccoli e grandi escamotage messi in campo dai produttori negli ultimi mesi. È lo stesso Ciafani a riportare che «in queste ultime settimane stanno comparendo prodotti in plastica molto simili a quelli monouso ma ‘riutilizzabili’ per un numero limitato di volte, come indicato nelle confezioni. Un modo, a nostro avviso, per aggirare il bando e che porta ad un incremento dell’utilizzo di plastica piuttosto che ad una sua diminuzione».
La transizione ecologica italiana secondo Greenpeace è finta
Ci era andata più pesante l’estate scorsa Greenpeace, che aveva criticato aspramente la legge contro la plastica monouso così come formulata dall’Italia. La normativa va infatti a promuovere l’uso di plastica biodegradabile e compostabile come alternative alla classica plastica; la norma comunitaria, da parte sua, vieta totalmente il loro utilizzo, per frenare il fenomeno dell’usa e getta e le sue conseguenze ambientali.
Va infatti ricordato che la bioplastica, pur non essendo fatta a partire da combustibili fossili, è biodegradabile solo in presenza di «specifiche condizioni di temperatura, umidità e presenza di microrganismi che di solito non sono presenti nell’ambiente naturale, tanto meno in mare dove finiscono molti rifiuti di plastica». A partire da questo ragionamento Greenpeace concludeva la nota inviata proprio a Cingolani con la frase «l’Italia sembra preferire di gran lunga una finta transizione ecologica».
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