TerraCycle, quando i rifiuti diventano business
Eliminare l’idea di rifiuto e sviluppare un modello di business che si fonda sulla nuova vita degli scarti. È questa la strategia vincente di TerraCycle, un’azienda nata nel 2001 per mano dell’allora ventenne Tom Szaky, che a distanza di 10 anni, lo sta rendendo milionario. Da giovane start-up incentrata su alcune pratiche di riciclo alternative, TerraCycle è diventata un colosso e un modello di eco-capitalismo che unisce etica e business, rispetto per l’ambiente e strategie di marketing, dimostrando come sia possibile fare profitto in modo sostenibile
Da iniziativa studentesca a colosso imprenditoriale
Tutto partì dall’idea di commercializzare un fertilizzante naturale, ottenuto dagli escrementi di vermi che si creano nei rifiuti organici. Szaky racconta di aver avuto questa illuminazione osservando i lombrichi nella spazzatura e rendendosi quindi conto che in natura non esistono scarti perché tutto viene recuperato e riutilizzato, innescando un ciclo fruttuoso. Perché non imitarlo anche nella nostra società? Da qui, l’allora studente di Princeton decise con degli amici di iniziare a ‘coltivare’ i vermi, di raccogliere il fertilizzante ottenuto e di venderlo in apposite bottiglie di soda che, sposando la causa del riciclo, avrebbero dovuto essere riutilizzate di volta in volta. Nacque così la cosiddetta Bottle Brigade (la brigata delle bottiglie) e quando i primi fertilizzanti Terracycle fecero la loro comparsa sugli scaffali della grande distribuzione, tra cui il colosso Wallmart, il successo fu enorme. E negli anni la piccola iniziativa universitaria è cresciuta ed è diventata un’azienda incentrata sulla produzione, da ogni tipologia di scarto, di un diverso prodotto di consumo. Puntando soprattutto sui rifiuti più difficili da gestire e trasformare: dalle lamette per la barba alle penne, passando per medicinali e pile.
Le brigate del recupero di TerraCycle
Come funziona TerraCycle? Basta andare sul sito, iscriversi, identificare il tipo di rifiuto, raccoglierlo in scatoloni in carta riciclata che vengono forniti dall’azienda stessa- si chiamano Zero Waste Box – e, una volta pieni, spedirli. La raccolta può essere effettuata anche dal singolo cittadino ma l’idea più efficace è quella del gruppo, che può essere quello della scuola, dell’ufficio, del condominio o degli enti no profit. Attraverso la community virtuale, gli iscritti si riuniscono in gruppi, le cosiddette “brigate del recupero”, specializzate in una tipologia di rifiuto. Ad oggi si contano, nel mondo, numerose brigate: quella dei rifiuti elettronici, quella dei nastri adesivi, quella delle penne e via dicendo. Per ogni pezzo, si ricevono in genere 2 centesimi (o l’equivalente in moneta corrente), che possono anche essere in parte donati ad un ente benefico di propria scelta. L’impostazione di TerraCycle è infatti incentrata sul business ma anche sulla solidarietà.
Accordi con le aziende produttrici
Ma la parte più interessante non è quella raccontata finora, perché la vera idea vincente di Tom Szaky è stata quella di aver avviato programmi di collaborazione con le aziende produttrici. TerraCycle raccoglie scarti di brand famosi e, in caso di accordo, il marchio rimane sui nuovi prodotti realizzati. Possiamo quindi avere astucci per la scuola con il brand delle patatine Doritos o lo zainetto nato dalla confezione gialla degli M&M’s. Le aziende hanno tutto l’interesse a prolungare la vita dei loro marchi su altri prodotti e a promuovere una vocazione ambientalista, i singoli consumatori riuniti in brigate ci guadagnano qualcosa, TerraCycle fa i suoi profitti e il tutto in un circolo virtuoso che fa bene all’ambiente.
Puntare sui prodotti difficili da riciclare
“Il concetto di scarto – ha dichiarato di recente Szaky in un’intervista – non esiste in natura, perché ciò che viene rigettato da un organismo viene accolto da un altro. Non esistono sprechi. Esistono specifici rifiuti per specifici organismi e tutto funziona alla perfezione”.
Ricreare questo sistema nella nostra società, secondo il giovane imprenditore, non è impossibile ma sono necessarie una visione, una buona strategia di marketing e soprattutto mettere in piedi una macchina che abbia tanti ingranaggi. È la collaborazione fra realtà e aziende diverse con scopi diversi la chiave di volta per far funzionare un modello di business. Partendo chiaramente da un’idea intelligente e che esplori territori che finora non sono stati esplorati. Una delle caratteristiche per cui TerraCycle ha riscosso successo ed è diventata un colosso del riciclo è quella di essere riuscita a trovare delle soluzioni per tutti quei materiali difficilmente riciclabili, per i quali la raccolta differenziata non esiste e il singolo cittadino non sa come trattare o può non aver voglia di dover trovare personalmente una soluzione.
La seconda vita delle sigarette
TerraCycle, grazie a una collaborazione con laboratori di ricerca scientifica e tecnologica punta sull’implementazione di nuove tecniche sperimentali per la trasformazione degli scarti difficili. Uno degli esempi che ha avuto maggiore eco e anche successo soprattutto in Nord America, è quello delle sigarette. Grazie all’attivazione di sistemi di raccolta, sviluppati soprattutto con accordi a livello cittadino, le cicche di sigarette vengono collezionate, spedite a TerraCycle e trasformate in laboratorio, con un processo di lavorazione molto complesso. I filtri, che contengono diacetato di cellulosa, la stessa sostanza usata nella costruzione degli occhiali da sole, vengono prima sterilizzati poi triturati per essere poi mescolati con altri materiali da riciclo e trasformati in plastica, pallet e in oggetti come frisbee e traversine ferroviarie.
Un futuro promettente
Oggi TerraCycle opera in più di 20 paesi in tutto il mondo, coinvolgendo più di 60 mln di persone nella raccolta di rifiuti, producendo miliardi di oggetti e materiali dagli scarti e con un fatturato che supera i 40 mln di dollari l’anno. I progetti in cantiere per il prossimo anno sono il lancio di un programma di riciclo per la gomma da masticare in Messico e un programma per il riuso dei pannolini in Olanda.
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