Il target 30×30 della COP15 di Montreal
Sappiamo tutti quali sono stati gli obiettivi concreti e sintetici degli ultimi summit internazionali sul clima, dalla COP21 di Parigi fino alla COP27 di Sharm el Sheikh tenutasi poche settimane fa: ridurre in modo drastico le emissioni di gas serra per contenere l’aumento delle temperature globali rispetto all’epoca preindustriale, possibilmente restando sotto l’incremento di 1,5 gradi centigradi. E qual è invece l’obiettivo supremo della COP15 che sta avendo luogo in questi giorni in Canada, a Montreal? Se si volesse riassumere in un solo concetto l’impegno di questo incontro, quello sarebbe il target 30×30: di che cosa si tratta?
Cos’è il target 30×30 della COP15 di Montreal
La conferenza ONU sulla biodiversità che sta tenendo banco in Canada ha espresso fin dall’inizio una tagline ben precisa, ovvero il target 30×30: con questa formula sintetica si indica la volontà di proteggere il 30% della terra e dei mari entro il 2030. In altre parole, si desidera fare in modo che quasi un terzo del pianeta diventi un’area protetta. È soprattutto su questo punto che si sta discutendo in questo giorni a Montreal, il target più ambizioso tra quelli proposti (una ventina) e anche quello più divisivo. Da una parte c’è chi è convinto che questo obiettivo sia irrealizzabile, mentre dall’altra c’è chi la pensa del tutto diversamente, sottolineando come questo possa risultare insufficiente, troppo poco. Ma non è tutto qui: il concetto di creare delle aree protette si scontra duramente con le popolazioni indigene che abitano quegli stessi territori.
Le aree protette e i diritti umani
Molte aree protette sono state create nel secolo scorso nelle più diverse zone del mondo. Questi passaggi in avanti, assolutamente positivi per l’ambiente, si sono però rivelati talvolta dei drammi per le popolazioni che vivevano quegli stessi luoghi. Si parla di quelle comunità che, dopo aver abitato per migliaia di anni determinate terre, dopo esserne stati custodi per secoli e secoli, sono state allontanate proprio per costituire delle aree protette. E questo, come stanno ripetendo in questi giorni a Montreal i rappresentanti delle popolazioni indigene, (IPLCs, Indigenous peoples and local communities) non deve accadere nuovamente: la creazione di aree protette per raggiungere il target 30×30 non deve essere accompagnata dalla violazione dei diritti umani. Numeri alla mano, le popolazioni indigene rappresentano circa il 5% della popolazione mondiale, ma proteggono l’80% della biodiversità attualmente ospitata dal pianeta. Come ha spiegato Jennifer Corpuz, che fa parte del gruppo Kankana-ey Igorot delle Filippine, «ci sono storie molto, molto dolorose di come i diritti delle popolazioni indigene sono stati violati, di come gli indigeni sono stati uccisi, portati fuori dal loro territorio e fatti estinguere a causa dell’espansione o dell’istituzione di aree protette».
Quali aree dovranno essere protette
In attesa di sapere quali saranno i risultati della COP15, che verranno resi pubblici sabato 17 dicembre, è possibile immaginare quali sono le aree che potrebbero diventare protagoniste del target 30×30. A partire da un’indagine realizzata nel 2021 proprio per mappare gli ecosistemi che l’uomo non può distruggere per raggiungere gli obiettivi in campo climatico, è possibile ipotizzare che al centro della strategia ci saranno le foreste boreali e le torbiere presenti in Russia, in Cina e negli Stati Uniti, nonché le foreste tropicali del Sud America, del Congo e dell’Indonesia.
E questo, per diversi esperti, dovrebbe essere solo l’inizio: il target 30×30 non dovrebbe quindi essere una meta, quanto invece il primo passo di un percorso che, secondo molti, dovrebbe puntare al 50% di aree protette totali nei prossimi anni. Per fare un paragone, in Italia attualmente il 10,5% del territorio fa parte di aree protette, per un totale di 3 milioni di ettari circa.
Ti è piaciuto l'articolo?
Condividilo