sversamento in mare dell'acqua di Fukushima
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Lo sversamento in mare dell’acqua di Fukushima: perché è necessario e come avviene

Ricordiamo tutti il disastro di Fukushima, uno dei più gravi incidenti nucleari della storia. Ancora oggi è difficile quantificare le conseguenze di questo drammatico evento, che pur non avendo provocato nessun decesso, ha segnato per sempre quest’area. L’11 marzo del 2011 una scossa di terremoto di magnitudo 9 creò uno tsunami che si abbatté sulle coste giapponesi, con onde alte fino a 15 metri. Queste travolsero tra le altre cose anche la centrale nucleare di Fukushima, danneggiando pesantemente i generatori di emergenza che alimentavano i sistemi di raffreddamento dei reattori (nello specifico, di 3 reattori su 4). Come conseguenza i noccioli si sciolsero, dando il via a delle esplosioni che danneggiarono l’intera struttura. Per mettere in sicurezza la centrale si è reso necessario l’utilizzo di enormi quantità di acqua, che oggi però non trovano più posto: per questo è stato deciso lo sversamento in mare dell’acqua di Fukushima, il quale è iniziato ufficialmente giovedì 24 agosto.

Perché lo sversamento in mare dell’acqua di Fukushima è necessario

Ma perché si è reso necessario lo sversamento in mare dell’acqua di Fukushima, di quella stessa acqua che da più parti viene definita radioattiva in quanto usata per contenere la radioattività del materiale nucleare presente nella centrale? Andiamo con ordine, sapendo che qualsiasi discorso relativo alle scorie radioattive è sempre molto delicato. A partire dal 2011, per 12 anni è stata raccolta acqua da falde sotterranee e da bacini di acqua piovana; questa acqua è stata mescolata con altre sostanze, così da andare a raffreddare le barre di combustibile, in modo da mantenere bassi i livelli di radioattività. Ecco che allora in tutto questo tempo sono state impiegate 13,4 milioni di tonnellate di acqua, l’equivalente della bellezza di 540 piscine olimpioniche. L’acqua utilizzata, in quanto contaminata, è stata mano a mano raccolta in un migliaio di container di acciaio, i quali sono tuttora davanti alla centrale di Fukushima. Questa raccolta di liquidi non poteva continuare all’infinito senza una valvola di sfogo: da qui la decisione, presa già tempo fa, di procedere con il graduale sversamento in mare dell’acqua di Fukushima. L’operazione, iniziata per l’appunto giovedì 24 agosto, continuerà per circa 30 anni.

Come avviene lo scarico dell’acqua usata per raffreddare il combustibile nucleare

Come detto, lo sversamento in mare dell’acqua di Fukushima sarà un processo lento e continuo nel tempo. È stato peraltro deciso un limite massimo giornaliero, pari a 500.000 litri al giorno. L’acqua viene filtrata e poi immessa in mare, dopo aver percorso un condotto sottomarino che si estende per un chilometro nell’oceano. Così facendo, l’acqua “radioattiva” di Fukushima viene portata lontana dalla costa. Ma quanto è sicura questa acqua proveniente dalla centrale nucleare?

L’acqua della centrale nucleare di Fukushima è sicura?

Quel che è noto è che lo sversamento in mare dell’acqua di Fukushima non sarebbe potuto avvenire senza l’approvazione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica delle Nazioni unite: questa ha infatti dichiarato che il piano soddisfa gli standard di sicurezza. L’acqua che viene immessa in mare passa infatti attraverso un complesso sistema di filtraggio, il quale va a rimuovere quasi ogni traccia di elementi radioattivi. Ne rimane solamente uno, ovvero il trizio, un isotopo dell’idrogeno. È stato fatto notare che la concentrazione di trizio nell’acqua di Fukushima è molto bassa, e che non dovrebbe quindi essere pericolosa; come sottolineato da Riccardo Oldani su Focus, questa sostanza è «presente naturalmente in tutte le acque del Pianeta, il trizio ha una radioattività considerata poco pericolosa, perché non penetra i tessuti viventi. Ma può comunque produrre danni agli organismi se viene ingerito o inalato a concentrazioni elevate». Ciononostante, non sono mancate le polemiche, con proteste da parte di associazioni ambientaliste e di associazioni di pescatori giapponesi, i quali temono che le acque sversate possano avere conseguenze negative non tanto sui pesci, quanto sulla percezione del pescato da parte del pubblico.