Sostenibilità del cibo e agricoltura: fame e cambiamenti climatici si combattono con la coltivazione sostenibile
Di fronte ai dati che ci parlano di una popolazione che è destinata a crescere a dismisura a livello mondiale e di fenomeni allarmanti legati ai cambiamenti climatici che allo stesso mondo continuano ad aumentare, uno dei settori che va maggiormente chiamato in causa è quello dell’agricoltura. Se nel 2050, come si legge dalle stime più attendibili, quelle del PRB- Population Reference Bureau, la popolazione supererà i 9 miliardi, si deve ragionare fin d’ora sul modo più efficace di sfamarla e di farlo minimizzando l’impatto ambientale. E questo è il primo punto della questione, che riguarda la tematica della sostenibilità del cibo e agricoltura.
I danni dell’agricoltura tradizionale all’ambiente
Accanto alla necessità di produrre e anche di distribuire cibo sano, aspetto che si lega, come affronteremo in seguito, anche alla problematica dello spreco alimentare, c’è quella di trovare delle soluzioni che possano ridurre l’impatto ambientale della coltivazione. L’agricoltura tradizionale, specie quella intensiva, provoca consumo di suolo e spesso danneggia terreno e ambiente a causa dell’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi chimici.
Due studi confermano l’importanza dell’agricoltura sostenibile
La risposta a queste esigenze potrebbe essere una e una soltanto e si chiama agricoltura sostenibile. A confermare questa affermazione sono due studi recenti. Il primo, redatto dal Woods Hole Research Center del Massachusetts e pubblicato sulle pagine della rivista PNAS della National Academy of Sciences, mostra quanto l’agricoltura tradizionale abbia contribuito ai cambiamenti climatici.
Quanto inquina un suolo coltivato in modo intensivo?
I ricercatori hanno scoperto che negli ultimi 200 anni soltanto l’agricoltura è stata responsabile dell’immissione in atmosfera di 133 miliardi di tonnellate di CO2. Un dato allarmante se consideriamo che il fenomeno della deforestazione ha contribuito al fenomeno quasi con gli stessi numeri: 140 mld di tonnellate di emissioni nocive.
Bisogna rispettare i cicli naturali
Un suolo coltivato con tecniche intensive e che non rispettano la naturalità dei cicli assorbe ingenti quantitativi di CO2, che non vengono ‘riutilizzati’ per la crescita delle colture, come avviene in natura, e cosa fa? Li rilascia in atmosfera, contribuendo all’inquinamento e al surriscaldamento globale. Un terreno sano invece favorisce il processo della fotosintesi, durante il quale le piante assorbono il carbonio dall’atmosfera e lo usano per creare zuccheri e amidi. Un ciclo virtuoso, insomma, dove la CO2 viene catturata e immagazzinata, non prodotta in eccesso.
Punto 2: gli OGM non sfameranno il mondo
Lo stesso punto di vista viene adottato da un altro studio, firmato dal professore William G. Moseley del Macalester College, che dimostra come l’unica strada per sfamare la popolazione mondiale in crescita è quella della sostenibilità del cibo e agricoltura che rispetti cicli naturali. Nello specifico, la ricerca vuole sfatare il mito degli OGM, ovvero delle colture geneticamente modificate, ritenute per decenni l’unica soluzione alla fame. Moseley- che, dobbiamo dire, è in buona compagnia nel sostenere questa tesi, visto il fiorire negli ultimi anni di numerosi studi che negano la validità degli OGM nel risolvere il problema alimentare nei paesi in via di sviluppo- osserva che le tecniche utilizzate sono costose e provocano quindi un rincaro del cibo. E danneggiano l’ambiente, così come avviene per la coltura tradizionale.
Servono sostenibilità del cibo e agricoltura naturale
Anche in questo caso viene identificata nell’agricoltura sostenibile l’unica soluzione. Perché è soltanto rispettando l’ambiente che si può contribuire a rigenerare terreni ormai depredati, producendo cibo sano e innescando un ciclo che ristabilizzi l’ordine delle cose.
Non bisogna produrre di più ma distribuire meglio
La tesi di Moseley ci fa riflettere anche su un aspetto fondamentale. Sbagliamo a credere di dover intensificare la produzione agricola per poter sfamare il mondo. Produciamo già abbastanza cibo per nutrire l’intera popolazione mondiale. Secondo diversi studi, l’attuale produzione alimentare è, o meglio sarebbe, sufficiente per nutrire dieci miliardi di persone. Meno di quante ce ne saranno in tutto il globo nel 2050. Eppure il numero degli affamati è ancora molto alto.
Spreco alimentare, quel fantasma occidentale
Viene quindi da pensare che il problema non risieda in una produzione carente e che si possa tranquillamente percorrere la strada della sostenibilità del cibo e agricoltura sostenibile. Perché la questione è un’altra, e si chiama spreco alimentare. I dati ormai li conosciamo: ogni anno a livello globale un terzo di tutti i prodotti alimentari destinati al consumo umano (1,3 miliardi di tonnellate) va perso o sprecato. Solo in Europa, ogni anno finisce nella spaziatura circa 88 milioni di tonnellate di cibo.
Qualcosa si muove…nelle istituzioni
Abbiamo più volte parlato su queste pagine dei tanti sforzi e delle mille iniziative private per arginare il fenomeno. Ma serve anche un impegno a livello istituzionale. Un piccolo passo in tal senso è sicuramente stato mosso lo scorso 29 settembre, quando la FAO e l’Ue hanno ufficialmente intensificato la loro collaborazione con una lettera di intenti firmata dal Commissario per la Salute e la Sicurezza Alimentare Vytenis Andriukaitis e il Direttore Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) José Graziano da Silva.
L’accordo ha l’obiettivo di riuscire a dimezzare, entro il 2030, gli sprechi alimentari pro capite e al tempo stesso di affrontare la diffusione della resistenza antimicrobica nelle aziende agricole e nel sistema alimentare, per una maggiore sostenibilità del cibo e agricoltura più rispettosa dell’ambiente.
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