La soia gioca a nascondino nei nostri piatti
LA SOIA NASCOSTA. Siamo degli enormi consumatori di soia: anche chi non ingerisce concretamente questo prodotto, ne è probabilmente un gran consumatore. Un paradosso, questo, che si spiega abbastanza agevolmente, poiché i mangimi che vengono utilizzati per gli allevamenti industriali di animali contengono molta soia. Stando ad una ricerca commissionata dal Wwf, ogni cittadino europeo consuma in media annualmente 61 chilogrammi di soia, dei quali ben il 93% è nascosto in carne, pesce e derivati. Alimenti con una elevatissima quantità di soia nel loro ciclo di produzione sono soprattutto i petti pollo (109 grammi per ogni 100 di prodotto), le uova (35 g ogni 55 g), i tranci di salmone (59 g ogni 100 g) e le braciole di maiale (51g ogni 100g). Nemmeno il formaggio delle grandi catene industriali resta fuori da questo gioco, arrivando a contenere in media 25 grammi di soia per ogni etto di prodotto finale.
SOIA E DEFORESTAZIONE. Detto questo, ci si potrebbe domandare quale sia il problema causato dalla soia nascosta. È subito detto: il boom della coltivazione della soia, durante l’ultima metà del secolo scorso, ha portato alla deforestazione massiccia di milioni di ettari di foresta, soprattutto in Sud America. Oltre a ciò, la maggior parte delle coltivazioni sono gestite in modo del tutto irresponsabile, con conseguenti impatti nefandi sulla popolazione e sull’ambiente, doppiamente danneggiato.
LA SCELTA GIUSTA. Come ha illustrato Sandra Mulder del Wwf, «la maggior parte dei consumatori europei non ha idea di quanta soia sia contenuta nella carne, nei latticini, nelle uova e nei pesci di allevamento che consuma ogni giorno» e questa generale disinformazione ha avuto degli effetti drammatici su ecosistemi come l’Amazzonia, il Gran Chaco e il Cerrado. L’intento del Wwf è dunque quello di sensibilizzare i consumatori al problema della soia nascosta, così da poter influenzare in modo positivo le scelte delle aziende europee che acquistano la soia in Sud America. Questa scelta, ha sottolineato Mulder, «renderebbe chiaro ai produttori in Sud America che i consumatori europei vogliono esclusivamente quella soia che non sia stata prodotta a spese della natura, dei lavoratori o delle comunità locali».
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