Sforare il limite di 2 gradi, anche temporaneamente: quale impatto?
Lottare contro i cambiamenti climatici significa impegnarsi per ridurre giorno dopo giorno l’inquinamento, così da contenere fenomeni come siccità, eventi meteorologici estremi, aumento del livello dei mari, scioglimento dei ghiacci e, ovviamente, aumento delle temperature. E come sappiamo in questa lotta attualmente il pianeta sta avendo la peggio, con una moltitudine di conseguenze negative per i suoi abitanti. Un dato su tutti: stando al bollettino mensile di Copernicus, ovvero del programma di osservazione della Terra e del clima dell’Unione europea, settembre 2023 è stato il più caldo di sempre a livello globale. Nessun altro settembre nella storia recente ha quindi presentato delle temperature medie dell’aria superficiale così alte: quest’anno la soglia è stata di 16,38 gradi centigradi, ovvero quasi un grado in più rispetto alla media dei settembre del trentennio 1991-2020; mezzo grado in più rispetto al settembre 2020, che fino a poche settimane fa deteneva questo drammatico primato. È del resto noto che negli ultimi anni i record relativi alle alte temperature continuano a essere battuti, rendendo sempre più difficile – ma non impossibile – rispettare il limite di 1,5 gradi di aumento massimo delle temperature medie rispetto all’epoca preindustriale. In occasione degli Accordi di Parigi, infatti, si è deciso di porre il limite a 1,5 gradi, ponendo invece come limite massimo, nella peggiore delle ipotesi, un aumento di 2 gradi centigradi. Ma qual è la differenza tra un aumento di 1,5 gradi e uno di 2 gradi centigradi? Uno studio pubblicato in questi giorni sulla rivista Communications Earth & Environment permette di capire meglio cosa accadrebbe se il mondo dovesse sforare il limite di 2 gradi.
Sforare il limite di 2 gradi: gli impatti stimati da uno studio
Secondo diversi osservatori, a partire per esempio da Jim Skea, il fisico scozzese eletto pochi mesi fa alla presidenza dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, lo sforamento degli 1,5° di aumento delle temperature è quasi certo, e avverrà attorno al 2030. Si potrebbe – si dovrebbe – trattare però di uno sforamento temporaneo, con un rapido rientro, a patto che i governi mettano in campo le politiche giuste. Ma cosa potrebbe accadere invece se si andasse oltre questa soglia, sforando anche la porta successiva, quella più temuta, di 2 gradi? Secondo lo studio citato, realizzato da un team di ricercatori guidato da Yeray Santana-Falcón, sforare il limite di 2 gradi porterebbe a una perdita di habitat irreversibile, che resterebbe quindi tale e non recuperabile per secoli. Gli habitat maggiormente coinvolti da questo lento, progressivo ma feroce cataclisma, sarebbero quelli posizionati nei primi 200 metri della colonna d’acqua, lì dove l’aumento della temperatura sarà netto. Qui la combinazione di aumentato calore e di perdita di ossigeno porterebbe a una perdita di circa il 13% delle specie marine, nella fascia peraltro più importante per il settore della pesca.
Come è stato condotta d’indagine?
Lo studio sulle conseguenze di un possibile sforamento del limite di 2° è stato fatto a partire dall’incrocio tra le previsioni del riscaldamento globale dei prossimi anni e gli effetti di deossigenazione degli oceani, tenendo come riferimento l’indice metabolico di 72 specie di pesci. Le conseguenze dello sforare del limite di 2 gradi, secondo i ricercatori, risulterebbero irreversibili, perlomeno dal punto di vista dell’esistenza umana, perdurando almeno fino al 2300. Va poi sottolineato anche che i danni più grossi sugli abitati causati dall’aumento delle temperature si avrebbero non durante lo sforamento temporaneo della soglia di 2°, quanto invece immediatamente dopo, la ritorno delle temperatura globale a livelli meno drammatici.
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