Ristorazione sostenibile: la strada verso lo “zero-waste”
Quando si parla di ristorazione sostenibile, ci vengono in mente locali che fanno della propria bandiera la lotta agli sprechi alimentari, il riciclo degli scarti ed il risparmio energetico. Eclatanti sono i casi dei ristoranti di Massimo Bottura e Dan Barber, chef di livello mondiale che si battono in prima linea per questo stile di cucina. Inoltre, stanno spuntando anche in Italia molte certificazioni alimentari che segnalano quando un ristorante lavora in modo sostenibile, contenendo gli sprechi e rispettando l’ambiente. Ancora oltre, troviamo alcuni chef e associazioni che si battono per una cucina “zero-waste”, che non produca alcun rifiuto. Ancora prima di riciclare, qui si parla di non gettare via per niente.
I ristoranti “zero-waste” dello chef Douglas McMaster
Douglas McMaster è uno degli chef più noti a portare avanti il progetto di una cucina totalmente senza sprechi. Il ristorante più prestigioso di McMaster si trova nelle campagne di Brighton, in Inghilterra, e si chiama Silo. Costruito all’interno di un edificio vecchio 180 anni, ha l’aspetto di un granaio, o come dichiarato dallo stesso nome del locale, di un silo. Qui si svolge una forma di ristorazione sostenibile come ce ne sono poche in giro. L’idea di fondo, infatti, è di non sprecare niente. “Zero waste” è l’obiettivo di Douglas Master, concetto ben espresso in uno dei piatti più richiesti del ristorante: la classica “English breakfast”. Completa di tutto, con toast, fagioli, funghi, uova e bacon, questo piatto produce un impatto zero sull’ambiente. Infatti, il pane è fatto in casa con farine locali, i funghi e i fagioli sono a Km 0, coltivati localmente e consegnati senza packaging. I piatti sono di plastica riciclata, gli sgabelli di polpa di legno. Gli avanzi alimentari finiscono, infine, in una compostiera industriale denominata “Bertha”. Unica eccezione è il vino, dato che le latitudini non consentono di produrne di qualità localmente e viene, quindi, importato. Le bottiglie vengono riciclate e, in aggiunta, lo chef sta spingendo gli artisti locali ad usarle per realizzare installazioni.
La ristorazione sostenibile in città
Limitare gli sprechi o eliminarli del tutto è più semplice in campagna, dove è possibile reperire prodotti biologici a Km 0. In città la situazione si fa più complessa ma McMaster la sta gestendo al meglio con il Cub, un bar nel centro di Londra. L’idea, in questo caso, è di servire piatti con ingredienti che possono essere considerati sottoprodotti: pensiamo alla cagliata di bufala o al compost di carote affumicate. In più, grazie alla collaborazione con il distaccamento londinese del MIT, vengono coltivate in loco piantine di ravanelli con sistema idroponico che non richiedono spese di trasporto. Infine, anche nella creazione dei cocktails, vi è un approccio virtuoso. Le bevande alcoliche di base vengono distillate sul posto e non viene usato il ghiaccio per evitare sprechi di acqua. In più, la classica fettina di limone, presente in quasi tutti i drink, viene sostituita con aceto o acidi in polvere.
Un esempio di “zero-waste” oltreoceano
Esempi simili di ristorazione sostenibile di tale genere sono presenti anche oltreoceano. È il caso del Sunday in Brooklyn di Claire Sprouse e di Chad Arnholt. In cucina nulla viene sprecato. Prendiamo, ad esempio, una classica pannocchia di mais. In questo caso, una volta utilizzata la polpa, la parte legnosa rimanente diventa una crema, simile al latte di cocco, che va ad arricchire i cocktails. La seta di mais, invece, si trasforma in tè. Secondo i proprietari del locale, però, a fronte di notevoli stimoli, tale tipo di ristorazione presenta alcuni limiti. Negli Stati Uniti, ad esempio, ci sono barriere legislative che impediscono ai locali di produrre le proprie bevande alcoliche. In più, non è possibile acquistarle in grandi contenitori ma solo in bottiglie, elemento che incrementa lo spreco di vetro.
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