Tre normali storie di razzismo ambientale
Razzismo ambientale: un abbozzo di definizione
Nel mio giardino i rifiuti non li voglio. Ma se i miei rifiuti finiscono nel giardino degli altri, allora va bene, purché siano lontani dalla mia vista. Questa è, in estrema sintesi, una definizione concreta di ‘razzismo ambientale‘, un concetto di cui non si parla molto, ma che è sotto gli occhi di tutti: il pianeta è minacciato dal surriscaldamento globale? I primi a farne le spese saranno – sono – i poveri. Le metropoli producono vere e proprie montagne di rifiuti? Non c’è problema, le discariche sono nella parte povera della città. E si potrebbe continuare all’infinito.
L’avanzamento del deserto nel Sahel
Il cambiamento climatico è in massima parte causato dalle azioni delle società ‘più sviluppate’, che maggiormente si sono distaccate dalla natura. A patirne per primi i drammatici effetti, però, sono i paesi più arretrati del mondo, i quali vivono soprattutto di agricoltura: il loro sostentamento è infatti legato a doppio filo alla natura e alle condizioni atmosferiche. L’aumento del calore, la siccità, le inondazioni e i fenomeni meteorologici estremi determinati dal cambiamento climatico stanno mettendo in ginocchio intere comunità di agricoltori del Sud del mondo: per fare un solo esempio, nella zona del Sahel, nell’Africa sub-sahariana, le coltivazioni sono diventate impossibili, poiché le piante non riescono più a maturare prima del sopraggiungere della siccità.
Le accuse del Movement for Black Lives
Ma il razzismo ambientale non esiste solo nei rapporti tra paesi sviluppati e arretrati. Basti pensare al documento scritto dal Movement for Black Lives, una coalizione di oltre 50 gruppi nata in difesa delle minoranze negli Usa dopo che gli abusi perpetrati dalle forze dell’ordine negli ultimi tempi hanno infiammato la comunità afroamericana. In questo documento di protesta si denunciano senza fronzoli «le storiche e sistematiche ingiustizie ecologiche che colpiscono in larga misura le comunità di colore e a basso reddito». La questione razziale, dunque, si pone anche sul lato dell’inquinamento: il manifesto in questione ricorda infatti che le prove del razzismo ambientale vigente sono costituite dalle ubicazioni delle discariche, dalle zone in cui l’accesso all’acqua potabile è deficitario e dalle localizzazioni delle nuove aree industriali a forte impatto inquinante. In poche parole, dunque, il Movement for Black Lives ricorda alle autorità la sproporzione nell’esposizione all’inquinamento, del tutto sbilanciata, almeno negli Stati Uniti, a sfavore delle comunità di colore. E il passo tra inquinamento maggiore e aumentate probabilità di danni alla salute, si sa, è breve: dall’asma alle varie forme di tumori, le comunità più povere risultano così doppiamente svantaggiate.
I Sioux e l’oleodotto
I casi di razzismo ambientale da raccontare sarebbero infiniti. Ma per restare negli Stati Uniti, terreno fertile per questo tipo di conflitti, sta facendo molto scalpore lo scontro tra tribù Sioux Standing Rock ed Energy Transfer. Questa azienda sta infatti progettando la costruzione di un oleodotto di oltre 1.800 chilometri tra North Dakota, South Dakota e Iowa: questa enorme pipeline dovrebbe passare proprio a ridosso della riserva dei nativi americani Standing Rock, dove, a dire della comunità, correrebbe il rischio di inquinare le acque da cui dipendono i circa 8.000 membri della tribù. Oltre a questo, il progetto violerebbe il National Historic Preservation Act, in quanto l’oleodotto finirebbe per attraversare delle terre considerate sacre dai nativi americani. Nonostante le moltissime manifestazioni (negli Stati Uniti, appoggiate anche da Bernie Sanders, ma anche in Europa e in Giappone), l’Energy Transfer si rifiuta di rivedere il progetto dell’oleodotto. Eppure – ed è qui che l’accusa di razzismo ambientale si inasprisce – la pipeline sarebbe arrivata nei pressi della riserva Sioux proprio perché delle analoghe proteste portate avanti dagli abitanti della città di Bismarck avevano portato a una revisione del progetto. Ma si sa: i cittadini di Bismarck, capitale del North Dakota, contano molto di più di una semplice tribù di nativi.
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