Qualità dell’aria in UE: il ritardo di 10 anni costerà 120mila morti i Italia
Il rapporto Europe’s air quality status, diramato l’anno scorso dall’Agenzia europea dell’ambiente (Aea), ha classificato l’aria che respiriamo in Italia tra le peggiori del continente. A far registrare i valori peggiori, come immaginabile, è prima di tutto la pianura Padana, dove i livelli di particolato sono tipicamente molto alti. L’indagine in questione aveva preso in considerazione 37 Paesi: non solo i membri dell’UE, ma anche Norvegia, Islanda, Montenegro, Svizzera, Turchia e via dicendo. Si è così scoperto che le aree con i risultati peggiori sono quelle dell’Europa centro orientale (dove l’aria è viziata soprattutto dal carbone utilizzato a livello industriale e di riscaldamento domestico) e proprio l’Italia, dove il mix letale è dato dalle emissioni antropiche e dalle peculiari condizioni meteorologiche e geografiche padane. Va peraltro sottolineato che la situazione non è rosea nemmeno per gli altri: stando al rapporto, il 97% circa di tutta la popolazione presa in esame è esposto a dei livelli di inquinamento atmosferico di gran lunga superiori rispetto a quelli definiti come sicuri dall’Organizzazione mondiale della sanità. Proprio l’OMS ha infatti definito già da anni delle soglie “raccomandate”, invitando i vari Paesi a cambiare le proprie politiche per rispettarle: a quanto pare, però, i legislatori non hanno particolare interesse a migliorare la qualità dell’aria in UE, trascurando i limiti dell’OMS. Un recente studio ha però dimostrato che, a fronte di ritardi nel migliorare la qualità dell’aria in UE, ci saranno centinaia di migliaia di morti premature in più.
La scarsa ambizione della direttiva sulla qualità dell’aria in UE
Da una parte ci sono le soglie definite e proposte dall’OMS; dall’altra ci sono le decisioni prese a livello di Unione Europea per “migliorare” la qualità dell’aria in UE. Purtroppo, la direttiva UE che ha il compito di cambiare le cose si sta dimostrando ben poco ambiziosa, sia in termini di limiti che in termini di scadenze. Vale quindi la pena vedere quelli che sono le soglie massime proposte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità:
- Per i PM2.5, una soglia annuale dimezzata a 5 μg/m3, e un limite sulle 24 ore pari a 15 μg/m3 (rispetto ai precedenti 25);
- Per i PM10 il limite annuale è stato fatto passare da da 20 a 15 μg/m3;
- Per l’NO2 il limite è posto a 10 μg/m3 su base annua e a 25 μg/m3 come limite giornaliero;
- Per l’ozono (O3) si passa a 60 μg/m3;
- Per il monossido di carbonio (CO) la soglia sulle 24 ore è fissata a 4 μg/m3.
Ebbene, la proposta elaborata della Commissione UE, così come supportata dall’Europarlamento e dalla commissione Ambiente, presentava nella sua forma originale limiti doppi per PM e NO2, di poco inferiori rispetto a quelli già attualmente fissati in Europa. Nella proposta iniziale la data entro la quale raggiungere questi valori era fissata al 2030; non fosse che successivamente il Parlamento UE ha deciso di posticipare di 5 anni la scadenza, portandola al 2035, data che è stata spostata ulteriormente dal Consiglio dei 27, che ha portato la data finale al 2040.
Le conseguenze del ritardo di 10 anni sulla qualità dell’aria in UE
Cosa vuole dire ritardare di 10 anni l’applicazione dei nuovi limiti (peraltro non ambiziosi) sulla qualità dell’aria in UE? Stando a uno studio commissionato da European Environmental Bureau (EEB) questo decennio in più si tradurrebbe in 327.600 mila morti premature in più nei soli Paesi che presentano i tassi più alti di PM2.5; per quanto riguarda l’Italia, un ritardo di 10 anni si potrebbe tradurre in 120 mila precessi prematuri in più. Gli unici Paesi a presentare dei tassi superiori a quelli italiani sono Bulgaria, Romania, Croazia, Polonia e Ungheria.
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