Qualità della vita urbana: le città devono essere progettate per i cittadini
Per anni gli architetti si sono preoccupati di progettare edifici grandiosi. Quasi facendo a gara gli uni contro gli altri per mettere la firma su opere estrose e magnificenti. Questa rincorsa alla ‘grandeur’ ha trasformato gli architetti in archi-star e ha fatto perdere di vista il vero ruolo dell’architettura, che deve essere sempre a servizio di chi la usa. Gli edifici sono fatti per chi li abita e le città devono essere progettate per i cittadini. E’ questo il punto di vista dell’architetto danese Jan Gehl che da oltre cinquant’anni è impegnato nel miglioramento della qualità della vita urbana, con l’obiettivo di aiutare i cittadini a ‘riconquistare le città’.
Qualità della vita urbana al centro del lavoro di Jan Gehl
In un’interessante intervista realizzata da Louisiana Channel, che vi proponiamo in calce all’articolo, Gehl ribadisce questi concetti che sono stati alla base di tutta la sua carriera professionale. L’architetto ha studiato la relazione fra vita e forma fin dalla metà degli anni ’70, quando ha cominciato a mettere in discussione l’approccio modernista di guardare il modello architettonico dall’alto, anziché dall’interno. L’architettura di allora aveva molto a che vedere con uno studio spasmodico delle forme, quasi come se edifici o intere città venissero considerate alla stregua di sculture, opere d’arte fini a sé stesse. Dimenticando che qualsiasi architettura deve in primo luogo interessarsi a chi la abita.
Le città influenzano lo stile di vita degli abitanti
“L’architettura è un’interazione tra forma e vita- dichiara Jehl- E solo se la vita e la forma interagiscono in modo funzionale, si può parlare di buona architettura.”
L’architettura e la pianificazione urbana hanno un’enorme influenza sui modelli di vita. Il modo in cui edifici e infrastrutture vengono progettati si riflette sulla qualità della vita urbana e su come gli abitanti vivono la città. Insomma, pensare che il contenitore non possa influenzare il contenuto è assolutamente sbagliato. E il ruolo di architetti e progettisti è e deve essere quello di promuovere il benessere dei cittadini. Nel corso dell’intervista Gehl cita numerosi esempi di città che funzionano, di modelli urbanistici che in qualche modo hanno favorito la qualità della vita urbana. Fra questi, l’Italia viene più volte citata. C’è Siena, con la sua Piazza del Campo, definita dall’architetto come uno degli spazi pubblici meglio riusciti al mondo e poi c’è Venezia, dove le strade sono state realizzate a misura di pedone e non di automobile. Ogni qual volta ci troviamo di fronte a una città che viene vissuta dai suoi abitanti, piena di spazi pubblici e di persone che la percorrono, specie nel caso di bambini e anziani, allora, secondo l’architetto, abbiamo buone probabilità di trovarci di fronte a una città ben progettata.
Quattro principi per progettare delle città belle da vivere
Non è la prima volta che Jan Gehl parla di architettura, urbanistica e dell’importanza della qualità della vita urbana. Lo aveva già fatto lo scorso anno in occasione di una conferenza che aveva tenuto al Van Alen Institute di New York, durante la quale aveva stilato una lista dei principi da rispettare per progettare città belle, vivibili, sicure e sostenibili. Vale la pena riportarla.
1- Città pedonabili
Il cambiamento climatico sta portando a riflettere su cosa si possa fare per ridurre i tassi di inquinamento e sta aprendo la strada a una serie di riflessioni che vanno aldilà dei consumi energetici. Per anni il benessere economico ha radicalizzato una serie di abitudini profondamente sbagliate. Il lavoro, sempre più concettuale, e quindi sedentario, costringe la maggior parte della popolazione a uno stile di vita dove l’attività fisica è scomparsa quasi del tutto. L’utilizzo sfrenato dell’automobile ha poi fatto il resto. Siamo ormai abituati a percorrere qualsiasi distanza, anche minima, servendoci dell’auto. Ecco, le città dovrebbero, secondo Gehl, invertire tutte queste tendenze e contribuire al miglioramento delle abitudini degli abitanti. Come? Progettandole prevedendo tanti percorsi pedonali e ciclabili che possano incentivare gli abitanti a lasciare a casa l’auto a favore di qualche passo a piedi o in bici. Il concetto è che i cambiamenti vanno guidati ed è solo concedendo al cittadino una reale alternativa che si può prendere un adeguamento a uno stile di vita più sano, per sé e per il pianeta.
2- Più spazi pubblici
La città andrebbe vissuta. Non possiamo pensare che un centro urbano sia esclusivamente un agglomerato di abitazioni private e luoghi di lavoro, al di fuori dei quali la vita si ferma. La qualità della vita urbana è misurabile anche dalla quantità e dalla qualità degli spazi pubblici, luoghi che possono diventare un punto di riferimento per i cittadini e spazi per la condivisione. Gehl porta come esempio la trasformazione che ha subìto Copenaghen nel 2015 grazie a un piano urbanistico chiamato “A Metropolis for People” incentrato sullo sviluppo di aree verdi, spazi comuni e percorsi pedonali. Una serie di iniziative che hanno reso la capitale danese più interessante, più sicura e più inclusiva da un punto di vista sociale.
3- Esperienze multisensoriali
Comprendere questo punto non è così semplice. E lo stesso Gehl ha affermato che per capire il concetto di ‘multisensorialità’ applicato a una città sarebbe necessario visitare Venezia e Brasilia. Nel primo caso per rendersi conto di quanto una città possa offrire un’esperienza ad abitanti e visitatori, nel secondo caso di quanto questa la si possa negare. Insomma, un esempio di cosa si dovrebbe e non si dovrebbe fare. La multisensorialità in un’ottica di qualità della vita urbana è quella capacità che una città dovrebbe avere di mantenere il proprio fascino, la propria identità e vivibilità. Elementi che spesso vengono distrutti dal traffico veicolare, dal caos che regna o da una cementificazione selvaggia e incontrollata.
4- Vietare le automobili e rendere accessibili i trasporti pubblici
Secondo Gehl l’auto non è il mezzo più intelligente per muoversi all’interno delle città. Specie nel caso di grandi metropoli, come ne esistono in Asia, Africa o Sud America. Gehl fa l’esempio di Singapore, che ha una superficie molto ridotta ma è densamente abitata, con il risultato di essere ormai diventata una città letteralmente sommersa dalle auto. Questo è un grave errore, perché soprattutto nel caso di città che non hanno estensioni troppo elevate si devono creare infrastrutture che privilegino la percorrenza a piedi o con mezzi sostenibili come le biciclette.
Non bisogna infine cadere nell’errore di considerare le città limitandosi ai centri urbani. Esistono le periferie e andrebbero considerare alla stessa stregua delle aree più centrali, puntando anche qui sulla qualità della vita urbana. Sappiamo bene che l’hinterland è spesso abitato da coloro che non possono permettersi di vivere in centro città e quindi, secondo Gehl, sempre in un’ottica di miglioramento dei centri urbani, dovrebbe esserci una maggiore attenzione nel garantire dei sistemi di trasporti efficienti e soprattutto a basso costo.
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