Putin e il clima, storia di un presidente che continua a cambiare idea
Quello tra il presidente russo Putin e il clima è un rapporto alquanto complesso: a seconda del luogo e dell’occasione, quello che Forbes ha definito come la persona più potente del Pianeta si permette infatti di cambiare idea sugli effetti del cambiamento climatico, sulla sua pericolosità e soprattutto sulle sue cause. Uno dei capitoli più interessanti della storia tra Putin e il clima è quello relativo al 2015, quando il presidente russo visitò una stazione di ricerca sull’isola di Samoilovsky. In quell’occasione il politico attirò accese critiche dal mondo accademico per aver messo esplicitamente in dubbio le responsabilità umane nei confronti del cambiamento climatico. È da sottolineare che quella stessa estate la Russia settentrionale era stata vittima di continui incendi dovuti ad un clima secco e torrido del tutto inusuale per quell’area geografica: il risultato tragico era stato di 54 vittime e di un quarto dei raccolti di grano completamente distrutto, per un danno complessivo di circa 14 miliardi di dollari. Sull’isola di Samoilovsky Putin spiegò però che il mondo scientifico non aveva ancora capito «se i cambiamenti climatici fossero dovuti al fatto che la Terra è viva e quindi respira rilasciando metano, oppure se la causa fosse da ricondurre all’attività umana». Per motivare questa tesi – tanto cara ai negazionisti climatici – Putin ricordò che la causa dell’estinzione dei mammut era da rintracciare proprio nel cambiamento climatico e dalla crescita del livello dei mari, il tutto senza alcun intervento delle attività umane. Inutile sottolineare che l’emissione naturale di metano ha una valenza del tutto marginale se raffrontata agli effetti della combustione dei carburanti tipica delle attività umane dell’era industriale. Ma questo è solo tra i tanti episodi curiosi della curiosa storia tra Putin e il clima.
Il triplo salto mortale tra il 2003 e il 2015: la svolta tra Putin e il clima
In effetti, ben prima del 2015, nel lontano 2003, il presidente russo aveva fatto ancora peggio. La prima nota clamorosa tra Putin e il clima risale infatti a quanto il politico definì il cambiamento climatico e il conseguente innalzamento delle temperature medie di tre gradi come ‘una buona cosa‘ per la Russia. La vera svolta nel rapporto tra Putin e il clima risale però alla Conferenza di Parigi del 2015: in quell’occasione il presidente russo sembrava infatti aver finalmente messo da parte i dubbi e soprattutto le bufale negazioniste, arrivando ad affermare che «il cambiamento climatico è diventato una delle più serie sfide che l’umanità deve affrontare», aggiungendo inoltre che «la qualità della vita delle persone sul Pianeta dipende dalla soluzione del problema climatico». Insomma, a Parigi il rapporto tra Putin e il clima sembrava essersi finalmente appianato. Almeno così si poteva pensare fino a qualche giorno fa.
La gaffe sulla Terra di Francesco Giuseppe
Durante gli ultimi giorni di marzo Putin ha infatti intrapreso un breve tour nella regione artica della Russia, con meta principale nella gelida Terra di Francesco Giuseppe, un arcipelago di isole così chiamato per essere stato scoperto da degli esploratori austriaci. Ebbene, di ritorno dal limite della regione artica, Putin è intervenuto ad un forum di ricercatori ambientali ad Arkhangelsk. Ed è qui che il presidente ha stupito tutti quanti con una nuova giravolta, che inaugura un nuovo – e infelice – capitolo del tragicomico rapporto tra Putin e il clima: il politico ha infatti affermato che non ci sono azioni possibili per fermare il cambiamento climatico, che è inarrestabile, ma che nonostante questo non c’è da preoccuparsi. Alcuni aspetti del climate change, a suo dire, sarebbero infatti del tutto positivi e benefici, e ai Paesi che ne temono gli effetti non servirebbe altro che «imparare ad adattarsi alle nuove problematiche». Anche qui, però, non si è limitato alla sola esposizione di questa pseudo-teoria. Nel 2015 per trovare un appoggio alla propria tesi tirò in ballo i mammut, mentre a Arkhangelsk è stato il turno dell’opinione di un fantomatico esploratore austriaco che avrebbe visitato la Terra di Francesco Giuseppe nel 1930, e il suo racconto sarebbe la prova che il cambiamento climatico era avviato già allora, ben prima delle enormi emissioni di anidride carbonica. Il tutto sarebbe confermato – sempre secondo Putin – dalle fotografie di una esplorazione avvenuta vent’anni dopo voluta da un futuro Re d’Italia, le quali dimostravano già allora il ritiro degli iceberg. Peccato per Putin, però, questa storia fa acqua da tutte le parti: il presidente infatti non riporta il nome dell’esploratore dalla mirabile memoria fotografica, e si dimentica del fatto che l’ultimo re d’Italia partì per l’esilio nel ’46, rendendo alquanto improbabile un’esplorazione ordinata da un ‘futuro’ re italiano negli anni Cinquanta.
Così la pensano i due uomini più potenti del mondo
Insomma, un anno e mezzo dopo la conferenza di Parigi, le idee di Putin sul clima sono diametralmente cambiate. Quanto saranno influenzate le sue nuove – vecchie – idee dal negazionismo dimostrato a più riprese dall’amministrazione statunitense di Donald Trump? E cosa può succedere, ora che i due uomini più potenti del pianeta sono convinti che il cambiamento climatico non sia un vero e proprio problema, e che anzi possa essere un vantaggio?
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