Con un nuovo pozzo petrolifero da 11 mila metri, la Cina continua le trivellazioni
La Cina non sembra avere nessuna reale intenzione di lasciarsi alle spalle i combustibili fossili. Poche settimane fa ha fatto scalpore un report di Greenpeace in cui si dimostrava come la Cina avesse anzi dato il via a una nuova stagione di investimenti nell’industria del carbone. Se confrontato con quello del 2021, il numero di progetti per la produzione di energia del carbone approvati nel 2023 da Pechino è infatti significativamente maggiore. E se già questa decisione allontana di molto il gigante asiatico da un’effettiva riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, le notizie intorno all’ultimo pozzo petrolifero che sta per essere realizzato in Cina non fanno che peggiorare la situazione.
Il nuovo pozzo petrolifero da 11 mila metri e le altre trivellazioni cinesi
In Asia centrale c’è un grande deserto, il cui soprannome è “Mare della morte”. Il suo nome ufficiale è Deserto del Taklamakan, e ricade quasi interamente all’interno della regione dello Xinjiang, in Cina. Qui China national petroleum corporation (controllata da Pechino) e Sinopec (controllato al 75% dal governo cinese) hanno dato il via alla trivellazione di un gigantesco pozzo petrolifero profondo 11 mila chilometri. Gli scopi di questo enorme buco sarebbero due: da una parte, quello di raccogliere nuove informazioni geologiche relative alle rocce formatesi in epoche lontanissime; dall’altra, quello di raggiungere nuove riserve di petrolio. Il sospetto di molti è che il fine scientifico, di per sé rispettabile, sia solamente una copertura per il reale obiettivo del governo, ovvero mettere le mani su nuovi giacimenti di petrolio da nazionalizzare. A dimostrare che l’interesse verso le nuove riserve petrolifere è molto alto, c’è il fatto che nello stesso deserto del Taklamakan Sinopec ha in campo 49 nuovi pozzi, a una profondità di circa 8.000 metri. Insomma, l’interesse della Cina verso i combustibili fossili sembra tutt’altro che in riduzione, e il fatto di creare un foro di 11 mila metri motivato in parte – o principalmente – per raggiungere nuovo petrolio dovrebbe essere già di per sé una discreta dimostrazione. Va peraltro detto che, una volta terminato, il nuovo pozzo petrolifero di Taklamakan sarà uno dei più profondi del mondo, insieme a quello di Kola, nella Russia Nord Occidentale, e dell’Al Shanheen oil field, in Qatar
Nessuna significativa riduzione delle emissioni in Cina
Di certo la creazione di un nuovo pozzo petrolifero da 11 mila metri circondato da altri 49 pozzi da 8 mila metri non è esattamente quello che il mondo si aspetterebbe dalla Cina in questo momento, né in futuro. Si parla infatti di un Paese che nei primi mesi del 2023 ha fatto crescere le proprie emissioni di gas a effetto serra del 4% rispetto al medesimo periodo del 2022. E dietro a questo scatto in avanti ci sarebbe proprio l’incremento di utilizzo di combustibili fossili: il consumo di petrolio è salito del 5,5%, quello di carbone del 3,6%, quello di gas dell’1,4%. Il 2023 sarà finalmente l’anno di picco delle emissioni della Cina? Difficile affermarlo. Quello che è certo è che per adesso, guardando all’indice di Climate ActionTracker, gli sforzi cinesi per ridurre le emissioni e quindi per combattere i cambiamenti climatici sono etichettati come “ Altamente insufficienti”. Nell’analisi della situazione del Paese si legge che «le emissioni secondo le attuali politiche rimangono alle stelle, senza alcun segno di sostanziale riduzioni» e che questo mette a repentaglio gli obiettivi del Paese al 20230. A questo va aggiunto il fatto che «le previsioni sulla domanda di energia ed elettricità continuano a crescere, prolungando la dipendenza della Cina dai combustibili fossili, nonostante i sostanziali progressi nei settori delle rinnovabili e degli usi finali».
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