Nuove perdite di petrolio in mare, in Thailandia e in Perù
Tra i disastri ambientali più gravi causati dall’uomo figurano senz’altro le perdite di petrolio in mare. E purtroppo questi incidenti capitano frequentemente: negli ultimi giorni di gennaio si sono infatti verificati due enormi sversamenti in mare di petrolio. Il 25 di gennaio, per un guasto a un oleodotto sottomarino, circa 50mila litri di greggio sono stati riversati nell’oceano a 20 chilometri di distanza dalla costa orientale della Thailandia, causando una pericolosissima marea nera. Negli stessi giorni un altro sversamento si è verificato in Perù, presso la più grande raffineria del Paese: in questo caso si parla di circa 12mila barili di petrolio.
La marea nera in Thailandia
L’oleodotto che ha causato lo sversamento di petrolio a largo della costa Thailandese è di proprietà della compagnia Star Petroleum Refining. All’origine di tutto vi sarebbe un guasto. La grande chiazza di greggio creatasi, tre giorni dopo l’incidente ha raggiunto le spiagge di una nota meta turistica del Paese, Mae Ramphueng. Grazie alle immagini satellitari si è potuto calcolare che il petrolio ha invaso un’area ampia circa 67 chilometri quadrati; a differenza di quanto accaduto in altri casi di perdite di petrolio in mare, anziché formare uno strato denso di carburante, questa volta si sarebbe creata una sottile pellicola superficiale, così da estendere la chiazza per una superficie particolarmente grande. Attualmente sono al lavoro circa 150 operatori della compagnia petrolifera, più 200 della marina locale, per ripulire la costa, nonché per limitare i danni mediante il posizionamento di apposite barriere. Sono inoltre attive delle imbarcazioni (circa 20) che stanno risucchiando il petrolio dalle acque. Il rischio è che la chiazza si estenda fino a minacciare le famose barriere coralline thailandesi, con drammatici danni ambientali.
La grossa perdita di petrolio in Perù
Negli stessi giorni, come anticipato, un’altra perdita di greggio è state registrata in America Latina, non lontano dalla capitale del Perù, Lima. In questo caso si tratta di un oleodotto controllato dalla Repsol, una società spagnola. Dapprima l’incidente è stato descritto come una conseguenza indiretta dell’eruzione del vulcano sottomarino a Tonga, per poi ritrattare la notizia. Va peraltro detto che, inizialmente, si era parlato di uno sversamento di “soli” 6mila barili di petrolio, cifra che però è stata successivamente raddoppiata. A peggiorare le cose ci sarebbe stata la risposta tutt’altro che tempestiva della società petrolifera, che non avrebbe fatto quanto necessario per proteggere la costa: attualmente lo sversamento sta coinvolgendo circa 50 chilometri di costa, nei quali si trovano anche due aree naturali protette.
Le perdite di petrolio in mare
Putroppo i fatti accaduti in Perù e in Thailandia sono solamente gli ultimi di una lunga serie di perdite di petrolio in mare. All’inizio di ottobre, in California, c’era stato per esempio una perdita di un oleodotto a ridotta distanza dalla costa. In quel caso si era parlato di circa 3mila barili dispersi in pare, che si erano sparsi per oltre 30 chilometri quadrati, causando la morte pesci e uccelli nell’area di Huntington. A segnalare la perdita erano stati per primi dei diportisti, che avevano notato nelle strane macchie in mare. E nemmeno il Mediterraneo è stato estraneo, di recente, a delle perdite di petrolio. Il 23 agosto scorso un guasto a un serbatoio di una centrale elettrica siriana aveva portato allo sversamento di una quantità compresa tra le 2 e le 4 tonnellate di petrolio, anche se va detto che le immagini satellitari sembravano suggerire una perdita ancora maggiore. Solamente 6 mesi prima circa mille tonnellate di greggio erano state rilasciate in mare a causa di un guasto su una petroliera a largo di Israele.
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