Il Partito Democratico rinviato alla prova del petrolio
C’è poco da fare: il peggior nemico del Partito Democratico resta il Partito Democratico. Neanche Mr. Matteo Renzi in persona riesce a evitare una guerra intestina.
La guerra civile piddina si sta combattendo in modo particolare su una delle materie del decreto Sblocca Italia, cioè il via libera a nuovi progetti di esplorazione e produzione di petrolio nelle 12 miglia marine dalla costa.Un provvedimento che potrebbe contribuire alla creazione di nuovi posti di lavoro, ma che molte Regioni italiane non vogliono proprio adottare, comprese quelle governate dallo stesso PD che ha approvato il decreto.
Sono infatti ben dieci i consigli regionali che hanno chiesto sei diversi referendum abrogativi per lo Sblocca Italia (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise). Di queste, ben otto sono governate dal PD. Capofila di questo movimento di franchi tiratori è la Basilicata, il cui presidente del Consiglio regionale, Pino Lacorazza (ovviamente PD), dichiara: “Chiediamo che non ci siano trivellazioni entro le 12 miglia e che siano ripristinati i poteri delle Regioni e degli enti locali, mettendo inoltre i cittadini al riparo dalla limitazione del loro diritto di proprietà”.
Il che è piuttosto surreale, perché – come tutti ben sanno – il mare è soggetto alla sovranità dello Stato, non certo delle Regioni.
Infatti è il Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con quello dell’Ambiente, che sta pianificando le aree riservate alle future attività di esplorazione e produzione di petrolio, sulle quali sarà adottata la Valutazione Ambientale Strategica (VAS). E quindi, come afferma il Sole 24 Ore, “l’effetto del referendum sulle procedure di autorizzazione alle piattaforme potrebbe essere quasi zero”.
Eppure ciò non sembra importare ai governatori ribelli: pur di non perdere il favore di un elettorato sempre più strumentalizzato e manipolato da ondate di populismo, demagogia e ambientalismo più becero, non si guarda in faccia nessuno. E il PD continua a combattere con se stesso.
Senza petrolio, un paese in affanno energetico
Forse varrebbe la pena ricordare che per il 77% del nostro fabbisogno energetico (contro il 53% della media europea) dipendiamo dall’estero e che il ricorso a fonti alternative e rinnovabili è ancora fermo al 20%.
Abbiamo tutti intenzione di smettere di usare l’auto e gli ascensori, di tornare alla penna e al calamaio e di lavare i panni al ruscello? Ahimè, temo che questo scenario sia poco probabile. La richiesta di energia continuerà infatti a essere costante anche nei prossimi anni, sia per le esigenze delle famiglie e dei privati cittadini che delle imprese.
Le Regioni dovrebbero tornare ad occuparsi di quello che compete loro: amministrare il territorio e fare quanto in loro potere per garantirne sviluppo e crescita. Potrebbero, ad esempio, adoperarsi per beneficiare di una più equa ripartizione degli utili (da notare, a questo proposito, come sia proprio la Basilicata ad aver sanato il proprio bilancio grazie alle royalties) e perché questi vengano reinvestiti sul territorio.
Ma soprattutto è il PD che dovrebbe fare pace con se stesso e definire una linea politica coerente. È un partito di Governo o di lotta? Ha intenzione di governare lo Stato e le Regioni per fare gli interessi dei cittadini e delle imprese o vuole seguire il M5S sulla strada della ribellione?
Non ci si può impegnare a rilanciare un’economia indebolita da anni di crisi e allo stesso tempo scendere in piazza per bloccare ogni iniziativa che porterebbe benefici in nome del più trito ambientalismo. È un controsenso.
Non si tratta di essere renziani o meno, di sinistra o meno, si tratta di decidere se si vogliono realmente risolvere i problemi o se si desidera continuare a crearne di nuovi.
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