Neve artificiale. Costi economici, ambientali e paesaggistici
Il lago di Montagnoli è il più grande bacino per l’innevamento artificiale mai realizzato in Italia. Costruito nel 2014 sul territorio di Madonna di Campiglio (a 1770 metri quota) con un investimento di 8 milioni di euro, può contenere fino a 200mila metri cubi di acqua, è lungo 360 metri e profondo 12. E da tre anni, permette agli operatori turistici della Val Rendena di far iniziare puntualmente a novembre la stagione sciistica, fornendo l’acqua necessaria per produrre la neve artificiale da sparare sulle piste della nota località trentina.
“Grazie alla realizzazione del lago – spiega Giancarlo Cescatti, direttore del Azienda Provinciale per il Turismo di Madonna di Campiglio – siamo riusciti a tenere in piedi l’economia locale. I flussi turistici che in questi anni hanno prodotto delle entrate per il territorio sono infatti fortemente legati alla presenza degli impianti”
Con i suoi 150 chilometri di piste, 50mila metri quadri di snowpark e una capacità di trasporto della seggiovia di 31mila persone all’ora, la Ski Area di Madonna di Campiglio è tra i luoghi dell’arco alpino più frequentati dagli appassionati di sci e ogni anno accoglie turisti da tutta d’Italia e dal resto d’Europea.
Come molte altre località sciistiche colpite dalle anomalie climatiche, anche Madonna di Campiglio si è dovuta attrezzare negli ultimi anni per la produzione di neve artificiale. Ma quali sono i costi economici e ambientali di questa scelta?
Costi ambientali
Nonostante le innovazioni nel campo della produzione di neve artificiale, come i cannoni della start up trentina NeveXN, che non utilizzano additivi chimici per il processo di trasformazione dell’acqua in neve, ci sono ancora alcuni nodi da sciogliere sulla sostenibilità ambientale di questo business.
Costi di gestione. Luigi Casanova, vice presidente dell’associazione Cipra ed esperto del territorio montano trentino, dice di non essere contrario alla neve artificiale in sé ma ai modelli produttivi che vengono applicati.
“In numerose località delle Alpi da anni gli impianti vengono accesi a metà novembre per preparare le piste per il ponte dell’8 dicembre – racconta Casanova -. Con le piogge di fine novembre però, che sciolgono e rovinano il manto, tutto il lavoro viene vanificato. In questo modo si sprecano energie e risorse”.
Dati alla mano, i costi ambientali ed economici di questa pratica sono tutt’altro che irrisori. Per produrre un metro cubo di neve sono necessari dai 2,5 ai 3 euro. Nel 2015 la società Funivie Campiglio ha dichiarato di aver prodotto 400mila metri cubi di neve in 120 ore, per un costo totale quindi di circa un milione di euro.
Nel caso del bacino di Montagnoli, la cifra racchiude i costi necessari per pompare l’acqua all’interno del lago (che viene attinta dal vicino fiume Sarca) quelli per far funzionare l’impianto dei cannoni e infine quelli per “spalmare” la neve dopo averla sparata. Il manto richiede infatti di essere livellato su tutta la pista per renderla sciabile e per fare questo vengono utilizzati circa sei gatti delle nevi che lavorano ininterrottamente giorno e notte durante il periodo di attività dei cannoni (solitamente cinque giorni).
Anche sull’acqua non si risparmia: nel periodo della stagione 2014/2015 sono stati prelevati dal bacino di Montagnoli 270 milioni di litri d’acqua per di produrre 675mila metri cubi di neve.
“L’imprenditoria del settore – continua Casanova -, non può usare un bene pubblico come l’acqua in modo tanto superficiale, l’innevamento andrebbe fatto in prossimità della stagione invernale e non a novembre”
Gli impatti sulla fauna. I cannoni spara neve producono un rumore continuo, incidendo in maniera determinante sulla presenza dei tetraonidi (specie di uccelli) e in particolare della pernice bianca.
“Sono animali a rischio, residui delle grandi glaciazioni di 10mila anni fa rimasti sulle Alpi. Molti studi dimostrano che dove c’è l’innevamento artificiale questi animali scompaiono”.
I danni al suolo. Infine gli impatti che la composizione chimica della sostanza ha sulla traspirazione del terreno.
“Un metro cubo di neve naturale stabilizzata pesa tra i 150 – 250 kg al metro cubo – chiarisce Casanova -, mentre si va dai 500 ai 600 kg al metro cubo di neve artificiale, che risulta molto più compatta e limita quindi l’areazione e la formazione delle radici dell’erba”
Il cambiamento del paesaggio
Il bacino di Montagnoli, oggi considerato come un esempio nella gestione degli impianti di innevamento artificiale, è stato costruito all’interno del Parco Naturale Adamello Brenta, ai confini del Sito d’Importanza Comunitaria (SIC IT3120177) delle Dolomiti di Brenta. Una zona oggi riconosciuta dall’Unesco patrimonio dell’umanità, con un importante valore paesaggistico.
Greta Maria Rigon, attivista dell’associazione Yaku, si è occupata nella tesi di laurea “Interpretazione di un paesaggio in trasformazione”, di analizzare l’impatto che la costruzione del lago ha avuto nel cambiamento della percezione del paesaggio, partendo dall’iter decisionale dell’opera.
“Gli attori economici e politici del territorio che in questo caso si esprimono nella società Funivie Madonna di Campiglio e Provincia Autonoma di Trento – spiega Rigon -, sono quelli che hanno determinato la trasformazione del paesaggio in questione. Non ci sono stati, come spesso accade in questi casi, momenti di confronto con la cittadinanza e con le rappresentanze e non sono stati considerati tutti gli sguardi percettivi sul paesaggio“.
Anche per questo motivo, il bacino di Montagnoli non viene pienamente accettato e condiviso da una parte della popolazione, che ha visto la costruzione dell’opera come qualcosa di imposto dall’alto.
Le percezioni, e quindi le letture del paesaggio, risultano molto diverse. Si va dalla visione positiva degli albergatori e dei turisti a quella un po’ meno entusiasta di chi il territorio lo conosce da più anni e che definisce la zona di Madonna di Campiglio “una nuova Las Vegas, un divermentificio e un dormitorio per alpinisti”.
È evidente come il turismo giochi ancora un ruolo fondamentale in questi territori, ma è chiaro anche che a lungo andare questo modello non risulterà più sostenibile.
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