Come l’estrazione mineraria per la transizione energetica minaccia i primati
L’estrazione mineraria per la transizione energetica può essere un processo molto sporco. Non è strano pensare che un passaggio così cruciale e così necessario per lasciarsi alle spalle la principale fonte di inquinamento, ovvero i combustibili fossili, presenti un potenziale impatto drammatico per l’ambiente? Eppure è così: come ricordato poche settimane fa in occasione della sesta sessione dell’United Nations Environment Assembly (UNEA-6) a Nairobi, l’estrazione dei minerali necessari per la transizione energetica internazionale, se affrontata in modo poco sorvegliato, può comportare la devastazione di interi ecosistemi. E non è tutto qui: si parla anche di potenziali violazioni ai diritti umani, di specie animali a rischio, e via dicendo. Tutto questo per assicurare una mole sufficiente di litio, cobalto, nichel, rame e di altri minerali critici. Attualmente è noto per esempio che la Cina controlla l’estrazione delle terre rare e che la maggior parte del cobalto viene estratto nella Repubblica Democratica del Congo. In generale, è possibile dire che una parte importante dei minerali legati al futuro energetico si trova nei territori di alcune delle nazioni meno sviluppate del mondo. Ed è in questo scenario decisamente poco confortante che il 3 aprile è stato pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances uno studio che mostra come 180 mila grandi scimmie sono minacciate proprio dall’estrazione mineraria per la transizione energetica.
L’estrazione mineraria per la transizione energetica minaccia le grandi scimmie: ecco come
Lo studio in questione è stato portato avanti da un team di ricercatori dell’associazione ambientalista texana Re:wild. Nell’abstract si legge che “integrando un set di dati minerari globali con la distribuzione della densità dei grandi primati, abbiamo stimato il numero di grandi scimmie africane che coincidevano spazialmente con i territori in cui sono in corso dei progetti minerari industriali. Dimostriamo che fino a un terzo della popolazione di grandi scimmie africane deve affrontare rischi legati all’attività mineraria”. A essere particolarmente a rischio, spiegano i ricercatori, sono i primati che si trovano nelle regioni dell’Africa occidentale, a partire da Liberia, Sierra Leone, Mali e Guinea: in quest’ultimo Stato per esempio a essere minacciato è l’83% della popolazione nazionale di primati. In tutto, in Africa l’estrazione mineraria per la transizione energetica metterebbe a rischio la vita di circa 180 mila grandi primati. La ricerca è stata effettuata comparando i dati dei siti minerari già operativi o pianificati in 17 Paesi del continente, con le relative popolazioni di primati: per quanto riguarda la distribuzione delle scimmie da considerare a rischio, il team di ricerca ha preso in considerazione una zona compresa entro un raggio di 50 chilometri dal sito di estrazione. Quest’area sarebbe infatti interessata da impatti quali l’inquinamento acustico, la costruzione di nuove strade e di nuove infrastrutture, la diffusione di malattie, la perdita di habitat e via dicendo.
Una transizione rispettosa
Le minacce sopra descritte nascono dalle necessità di estrarre principalmente manganese, cobalto e grafite, minerali cruciali per costruire le batterie agli ioni di litio al centro della transizione energetica, nel mondo dei trasporti e non solo. Si parla inoltre anche di minerali come platino e bauxite, usati tra le altre cose anche per realizzare pannelli solari o impianti eolici. L’ONG texana, al margine dello studio, non richiede lo stop delle estrazioni, le quali sono comprensibilmente fondamentali per la transizione energetica: si domanda piuttosto di interrompere l’attività nelle aree più sensibili per la conservazione dei primati africani, concentrandosi a tal scopo maggiormente sul riciclo di materiali critici, così da recuperare altrove i minerali necessari e già estratti.
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