Metalli sui fondali oceanici: perché sono così importanti?
Quello dei metalli sui fondali oceanici non è un tema del tutto nuovo per le pagine del nostro magazine. Già qualche settimana fa, per esempio, abbiamo parlato dell’iniziativa norvegese di dare il via all’estrazione mineraria nei propri mari, con l’obiettivo preciso di rifornirsi dei metalli preziosi per supportare la propria transizione energetica. Il presupposto lo conosciamo tutti: per poter davvero andare verso un mondo senza combustibili fossili è necessario poter sfruttare al meglio le fonti rinnovabili per produrre energia elettrica pulita, la quale però ha necessità di essere archiviata: sia a livello dei dispositivi, come avviene per esempio negli smartphone e nelle auto elettriche, sia a livello di sistema, per immagazzinare l’energia prodotta dai picchi di produzione a livello di impianti fotovoltaici ed eolici. E certo, in certi casi ci sono delle soluzioni alternative, come per esempio l’utilizzo delle centrali idroelettriche di pompaggio, utilizzate non solo per produrre energia, ma anche per stoccarla a lungo e in modo efficace; ma non ci sono dubbi nell’affermare che le batterie restano la soluzione centrale nella maggior parte dei casi. Da qui il grandissimo bisogno di terre rare e di metalli peculiari, a motivare per l’appunto il crescente interesse internazionale per i metalli sui fondali oceanici.
La domanda di metalli da impiegare nelle nuove tecnologie
Cerchiamo di capire più nello specifico quali sono i motivi che spingono verso la ricerca di metalli sui fondali oceanici: si stima che, da qui al 2040, per supportare la transizione energetica, la domanda di batterie agli ioni di litio aumenterà circa di 24 volte. Ma quanto a materiali non si parla unicamente di litio. Si pensi al fatto che, per costruire una batteria al litio da 55 KW con catodo NMC (ovvero nichel manganese e cobalto) sono necessari 12 chilogrammi di manganese, 29 chilogrammi di nickel e 13 chilogrammi di cobalto. Per altre tipologie di batterie cambiano le proporzioni, arrivando per esempio ad azzerare il fabbisogno di cobalto, aumentando però quello di manganese.
In questo scenario, è noto che tanti metalli fondamentali per accompagnare la transizione energetica stanno iniziando già oggi a scarseggiare sulla terraferma: la loro estrazione diventa quindi via via sempre più difficile e costosa. Da qui, per l’appunto, lo sguardo puntato verso i fondali oceanici, dove si trovano i cosiddetti noduli polimetallici.
Alla scoperta dei metalli sui fondali oceanici: i noduli polimetallici
Quando si parla di metalli sui fondali oceanici si fa riferimento per l’appunto soprattutto ai noduli polimetallici. Si tratta di fatto di particolari “pietre”, dalla forma sferica schiacciata, con un diametro che varia tendenzialmente tra i 5 e i 10 centimetri. Al loro interno si trovano alte concentrazioni di metalli come nichel, manganese, cobalto, rame, e ferro, nonché terre rare come il molibdeno e il litio. Questi noduli polimetallici si trovano in grande quantità sui fondali oceanici, a una profondità tendenzialmente compresa tra i 3.000 e i 5.000 metri di profondità. Ci sono, va detto, delle aree che sembrano particolarmente ricche di metalli sui fondali oceanici: si parla soprattutto dell’Oceano Indiano, della Dorsale medio atlantica e del Pacifico. Proprio in quest’ultimo è stata per esempio individuata un’area ricchissima di noduli polimetallici, la cosiddetta zona di Clarion-Clipperton.
Il dibattito sul deep sea mining
A questo punto vanno precisati alcuni aspetti. Si stima che i metalli sui fondi oceanici siano presenti in mole immensa, nell’ordine delle migliaia di tonnellate di noduli polimetallici. Ma si sa anche che la formazione di queste sfere è lunghissima del tempo; si sa che portare in superficie questi noduli è molto costoso, nonché difficile (anche se va detto che sono stati fatti diversi esperimenti); e si sa per certo – per via di esperimenti fatti negli anni passati – che, con i metodi attuali, il cosiddetto deep sea mining può essere molto dannoso a livello ambientale, rovinando degli habitat fino a oggi totalmente incontaminati.
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