Le città del futuro ruotano intorno al rapporto umano: intervista al laboratorio di design PUSH
PUSH è un laboratorio di innovazione urbana che opera a Palermo, designata capitale della cultura 2018. Un team eterogeneo composto da architetti, urbanisti, ingegneri e designer lavora per sviluppare soluzioni che possano migliorare la qualità della vita nelle città, ponendo al centro le necessità dei cittadini e la protezione ambientale. Abbiamo incontrato Salvatore Di Dio, Managing Director di PUSH.
La definizione di smart city è molto varia e spesso non ben definita. Secondo voi, cos’è una smart city?
Le città accolgono più del 50% della popolazione e consumano circa il 75% delle risorse, e questi dati crescono costantemente. Per molti anni, durante i nostri studi, siamo stati molto affascinati dall’idea di progettare le città del futuro, le Smart Cities. Ecologiche, accessibili, connesse con il mondo. Abbiamo dovuto viaggiare non poco per renderci conto che progettare “smart cities” significava in realtà costruire il privilegio di alcuni e l’affare di pochi. Le patinate Songdo e Mandar City non sono città. Sono solo la vetrina per commercianti di soluzioni hi-tech “chiavi in mano” e il rifugio per i tecnocrati che hanno pianificato le dumb cities in cui viviamo oggi. Non sono state progettate per essere habitat delle relazioni umane.
“La città è quella che è perché questi cittadini sono quello che sono” sosteneva Platone.
Una città è intelligente quando riesce a valorizzare in modo sempre nuovo, diverso e sostenibile le risorse ambientali, culturali e soprattutto umane che la compongono. Quando trova strade per dare diritti e avvicinare gli ultimi ai primi. Quando è progettata per i bambini, i disabili e gli anziani. Quando vuole e riesce a cambiare.
Come si interviene in città più problematiche?
Le città più popolose del pianeta (circa l’80%) si trovano in aree definite di secondo o terzo mondo, dove i temi ambientali, economici e sociali sono intrecciati in grovigli inestricabili e le priorità sono ben lontane dall’essere di mera natura energetica. Ma sono proprio queste città che hanno più bisogno di soluzioni immediate, sostenibili ed efficaci, è qui che si gioca il destino del mondo (World Urban Campaign, 2012 Manifesto for Cities). Per scoprire come intervenire in un contesto così complesso PUSH ha eletto Palermo come sede del laboratorio e abbiamo iniziato a sistematizzare le cause principali degli sprechi energetici in città, ripercorrendo tutti i processi fino ad arrivare ad individuarne l’origine.
Ogni ragionamento molto raramente terminava con l’individuazione del colpevole in un articolo del piano regolatore o in un particolare ritardo tecnologico. Alla fine di ogni catena c’era sempre un individuo e il suo libero arbitrio. Quell’essere mitologico che in pianificazione è un indice, in informatica è un user e nel mercato è un customer. Quell’animale fatto di pelle ossa e desideri che si è adattato ad uno stile di vita basato sul consumo e non sembra aver alcuna voglia di cambiare.
Come coltiva PUSH il rapporto con il cittadino?
Urbanistica, architettura e politiche urbane hanno passato gli ultimi 80 anni a costruire mappe, regole e modelli e hanno perso di vista il motivo per cui lo stavano facendo: le persone. Ce l’avevano lì davanti e non le vedevano. Quando abbiamo fondato PUSH ci siamo detti che non c’era più tempo da perdere, che avremmo iniziato ad ascoltare le persone e comunicare con loro con il mezzo più potente che avevamo a disposizione: il web. Internet è oggi il luogo in cui possiamo più facilmente incontrare e dialogare con le persone, dove possiamo quindi provare ad innescare processi virtuosi. Se il mondo costruito non funziona, e non abbiamo modo di cambiarlo, possiamo provare a cambiarne la sua percezione. In alcuni casi, forse, potrebbe bastare.
Nella presentazione di PUSH scrivete: “attraverso la metodologia del service design puntiamo a trasformare le città, migliorando l’esperienza dei propri cittadini.” Come contribuisce il vostro laboratorio a progettare le smart cities del domani?
Il 75% dell’economia dei paesi sviluppati è nel settore dei servizi. I servizi sono fatti da interazioni fra le persone, e influenzati dalle loro motivazioni e i loro comportamenti. Capire le persone, e al contempo essere in grado di progettare processi con il loro contributo, è oggi il cuore di qualsiasi prodotto/servizio a qualsiasi scala. “If you ask to ten people what service design is, you would end up with eleven different answers – at least.” (Marc Stickdorn, This is service design thinking 2011).
Il service design è quindi un approccio transdisciplinare che combina metodi e strumenti differenti da diverse discipline (product design, marketing, architettura, antropologia, economia, ecc.) per progettare esperienze complesse che si svolgono nello spazio e nel tempo. Politiche urbane, urban design e service design si trovano a giocare una partita simile, quella di guidare il cittadino/consumatore nelle esperienze quotidiane, cercando di influenzarne il comportamento per migliorarne la qualità della vita.
In PUSH in questi anni abbiamo sviluppato una nostra metodologia human-centered & environment-focused che ci ha consentito di declinare il service design nell’ambito dello sviluppo di politiche urbane. Il laboratorio, un nutrito gruppo di designer con background molto diversi, si occupa di progetti di ricerca applicata e di innovazione sociale e urbana. Per ogni progetto che decidiamo di sviluppare immaginiamo sempre di gemmare un’azienda. Profit, low profit o no profit, ma una realtà indipendente capace di stare a mercato e di crescere, possibilmente al Sud.
Dal 2013 ad oggi, grazie a PUSH, sono nate NEU, società di consulenza di service design in ambito business e The Piranesi Experience, cross-media company specializzata nel racconto di arte, architettura e urbanistica.
Dove ha fallito l’approccio delle istituzioni alle smart cities e in che modo si potrebbero avere dei risultati tangibili?
Scriveva Jane Jacobs: “The pseudoscience of planning seems almost nevrotic in its determination to imitate empiric failure and ignore empiric success.” Nel tentativo di semplificare ciò che non è semplificabile commettiamo ancora l’errore di confondere la mappa con il territorio. Per affrontare la straordinaria complessità dell’organismo urbano l’unica ricetta che conosciamo è l’inumano approccio urbanistico funzionalista che ha già dimostrato di essere tragicamente fallimentare. Per quanto per alcuni sia ancora difficile da digerire bisogna arrendersi all’idea che pannelli fotovoltaici, sensori e videocamere da sole non riescono a trasformare le città in luoghi più sostenibili, gestibili e intelligenti, anzi. Spesso sortiscono l’effetto opposto creando luoghi più iniqui, divisi e violenti.
All’ultima conferenza Habitat III delle Nazioni Unite Richard Sennet, anticipando i risultati di un lavoro condotto con Saskia Sassen e Joan Clos, sosteneva una tesi molto affascinante rispetto al futuro della pianificazione delle città: “My vision is far from the functional, efficient, conflict-free city. I hope the Quito Papers will inspire a much more complex, open, incomplete vision.”
Solo una città complessa, aperta e incompleta può innescare processi di innovazione autonomi e dal basso. L’approccio regolatorio top-down deve essere il più possibile iterativo e ciclicamente ispirato da processi bottom-up.
In che modo è possibile modulare il rapporto dei cittadini con la loro città per favorire uno sviluppo partecipativo?
Affinché esista un qualsiasi rapporto umano “sano” è necessario che ci sia apertura, chiarezza ed empatia. Serve anche molta pazienza a volte (virtù sempre più difficile da trovare sia fra i cittadini che nelle istituzioni), ma la qualità del tempo che ci si dedica è la chiave di ogni rapporto. Ed è esattamente questo che devono sviluppare città e cittadini: un rapporto umano. Non servono tanti investimenti. E sicuramente non servono archistar o consulenti di patinate multinazionali. Alle città servono cittadini creativi, visionari e poeti. Serve dare opportunità a chi ha il coraggio di sperimentare soluzioni economicamente sostenibili e scalabili. In PUSH crediamo in questi valori.
Come scriveva Guerra al sindaco di Pennabilli, bisogna che i sindaci ascoltino le voci che sembrano inutili, bisogna che riempiano gli occhi di tutti noi di cose che siano l’inizio di un grande sogno.
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