Latticini vegetali, la storia di Dall’Albero
Giulia Dentice è una ragazza di 24 anni, laureata in Giurisprudenza alla Queen Mary University of London e in attesa – questo autunno – di discutere la tesi per il master LLM Food Law della Luiss Business School. Dopo la laurea è partita per il centro america per studiare la Permacultura, scoprendo che tra i metodi più sostenibili per vivere c’è la fermentazione, tra i più antichi metodi di preservare gli alimenti. Da lì la passione per l’utilizzo dei microorganismi per migliorare la nostra alimentazione. E poi ancora il corso di Plant Based Nutrition della T Colin Campbell Centre for Nutritional Studies di E Cornell, il Permaculture Design Course al Project Bonafide in Nicaragua, un corso sull’arte della fermentazione con Sandor Katz e (nel tempo libero!) il percorso di cucina crudista della Matthew Kenney Academy. Giulia l’abbiamo incontrata qualche settimana fa a Roma durante l’ultimo (in ordine di tempo) HITalk . Giulia ha raccontato a una platea interessata la sua creatura: Dall’Albero un vero e proprio caseificio di latticini vegetali.
Latticini vegetali. La sfida romana
Si tratta di un un laboratorio alimentare artigianale che attraverso la fermentazione di basi vegetali, usando le tecniche millenarie tradizionali per fare il formaggio, crea stagionati, spalmabili, alternative alla ricotta e allo yogurt, tutto biologico e 100% vegetale. Forniscono negozi, erboristerie, botteghe bio e ristoranti, lavorano molto con l’ecommerce, ma hanno anche un punto per la vendita diretta e un bar all’interno di un concept store in Via Salaria, a Roma. A Giulia abbiamo rivolto qualche domanda.
Come nasce l’idea dei latticini vegetali? Di creare del formaggio… senza formaggio?
L’idea nasce dalla necessità di portare sul mercato qualcosa di benefico per tutti, che prima non esisteva.
Produrre e vendere dei latticini vegetali. Come si comunica e come viene percepita la vostra idea?
Bella domanda! Di certo non è semplicissimo… Cerchiamo di spiegare che la nostra idea non è quella di copiare un formaggio, magari con l’aiuto di aromi artificiali, ma di usare le tecniche tradizionalmente usate per fare il formaggio per lavorare basi vegetali autoprodotte.
Quindi il procedimento è lo stesso del formaggio?
Usiamo colture di fermenti vivi degli stessi tipi di chi lavora il latte animale, le nostre forme rimangono per mesi a stagionare nel nostro grottino di stagionatura. È un’esplorazione degli orizzonti dell’artigianato alimentare.
Chi assaggia i formaggi per la prima volta che dice?
Rimangono molto colpiti. Di solito ci chiedono come riusciamo a creare un sapore cosi intenso con così pochi ingredienti.
Da un punto di vita di ingresso sul mercato, quale segmento pensate di riuscire a coprire con dei latticini vegetali?
La lista è lunga, gli intolleranti al lattosio, gli allergici al latte, gli sportivi, semplicemente gli attenti alla salute, chi ha il colesterolo alto, i flexitariani, i vegani e i vegetariani in transizione.
Siete operativi sia con un punto vendita sia con la vendita online…
In negozio e nel bar abbiamo più clienti non vegani che vegani, vengono di tutte le età, sia uomini che donne. Chi ci viene a trovare ed assaggia torna. Sul sito web invece da un sondaggio è emerso che più della metà di chi ordina è vegan. I nostri rivenditori sono tutti negozi Bio.
Qual è il prodotto più venduto? E quello di cui andate più fieri?
I prodotti più venduti sono i nostri Anacardini spalmabili con fermenti vivi, ce n’è per tutti i gusti; semplice, al basilico, erba cipollina, curry, pomodoro secco. Forse quello che piace di più è quello all’erba cipollina. Il prodotto di cui andiamo più fieri è sicuramente l’Anacardino stagionato, frutto di anni di lavoro, studio e perfezionamento della tecnica. Ci vogliono più di due mesi per farlo quindi è sicuramente quello che una volta pronto ci da più soddisfazione.
Dal tuo speech durante l’Hi talk di Roma, abbiamo appreso che il terzo cibo più inquinante in termini di emissioni di gas è il formaggio.
Sì. I dati vengono da uno studio condotto dall’Environmental Working Group. Quando si fa questo tipo di calcoli si deve per forza tener conto della vita degli animali stessi e le risorse impiegate per sfamare gli animali. I ruminanti producono metano, un gas serra più inquinante del CO2. Produrre il cibo per gli animali crea inevitabilmente inquinamento (basti pensare che più della metà del terreno coltivabile della terra è usato per coltivare cibo destinato agli animali in allevamento). In più per creare il formaggio servono tantissimi litri di latte. Tutti questi elementi fanno si che il formaggio di latte animale abbia un impatto ambientale addirittura più alto di pesce, pollo e maiale.
Sempre durante l’hiTlak hai detto: è un imperativo dello stato non ostacolare le industrie che stanno cercando di promuovere uno stile di vita che sul lungo periodo aiuterà il pianeta. Il riferimento era alla normativa che vieta la dicitura Latte di soia…
La decisione non è nulla di nuovo, la direttiva esiste da tempo e infatti in Italia non si è mai letto latte di soia su nessuna confezione. La cosa interessante è che ogni stato membro dell’Unione Europea può presentare un allegato con i termini di cui accetta l’uso poiché tradizionalmente usati per denotare quegli alimenti. In Italia è concesso dire latte di mandorla, latte di cocco e burro di cacao. E basta. Neanche il famoso “burro di arachidi” dei film americani in Italia si può chiamare tale.
E il latte di soia?
Che il latte di soia sia ormai entrato nel gergo comune è innegabile, basta provare a chiedere al barista un cappuccino con succo di soia e vedere come reagisce… Sappiamo tutti che i frutti di mare non crescono sugli alberi! Nel 2017 chiunque sa che il latte di soia non è latte vaccino aromatizzato alla soia ma un alimento completamente vegetale. Chi vende alternative ai prodotti caseari sottolinea il più possibile che sono a base vegetale e che il latte non c’è. Non basiamo la nostra strategia di marketing su un’ipotetica anziana signora che prende il pacchetto al supermercato per sbaglio!
Per dirla alla Wikipedia… una disambiguazione non necessaria…
Sappiamo tutti che i latticini non sono un alimento imprescindibile per la nostra specie in età adulta, e che la metà della nostra popolazione è intollerante al lattosio, allora perché questo accanimento? Per esempio Italia l’aliquota IVA per latte vaccino sta al 4%, per le alternative al latte a base vegetale al 22%, come una Ferrari. Noi non abbiamo i sussidi della PAC o dallo stato, e l’incremento del prezzo finale per il consumatore è disincentivante per entrambi. Inoltre produttori e trasformatori devono pagarsi da soli la certificazione biologica, ed è talmente cara che alcune piccole realtà non possono permettersi di farlo.
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