L’industria della carne fa disinformazione: l’indagine Changing Markets
Quello zootecnico, in Italia, è un settore strategico, che conta – considerando sia la produzione che la trasformazione – circa 270 mila imprese, con numeri importanti sia a livello di fatturato che di occupati. Non stupisce quindi che qualsiasi discorso relativo alla trasformazione e al ripensamento di questo comparto sia tipicamente accompagnato da inevitabili lamentele e recriminazioni. Semplificando al massimo, da una parte ci sono le proposte e le richieste del fronte ambientalista, e in generale di chi vede di buon occhio una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra legate all’allevamento; dall’altra ci sono invece le aziende stesse e le associazioni ad esse legate, che combattono o cercano perlomeno di ridimensionare questa transizione. Gli attacchi tra questi due fronti non mancano, con accuse pesanti che arrivano da entrambe le parti in gioco. Uno studio pubblicato di recente dalla fondazione Changing Markets dimostra per esempio che l’industria della carne fa disinformazione e indica i canali utilizzati a questo scopo, con delle campagne tese a rallentare o bloccare del tutto il processo di cambiamento in atto. Ma cosa significa nel concreto affermare che l’industria della carne fa disinformazione?
La situazione attuale, in Unione Europea e in Italia
Prima di vedere come e perché l’industria della carne fa disinformazione, può essere utile analizzare la situazione attuale. Di certo negli ultimi anni è iniziato un cambiamento nel modo di guardare all’industria alimentare, che ha coinvolto sia una parte dei produttori, sia una parte dei consumatori: stando alla Commissione europea, per esempio, il consumo di prodotti alternativi alla carne, ai prodotti ittici e ai latticini e cresciuto di 5 volte dal 2011. Un sondaggio di 2 anni fa condotto dal Boston consulting group a livello internazionale ha inoltre dimostrato che il 44% dei consumatori è propenso a ridurre il consumo di carne o a sostituirla, proprio per limitare il proprio impatto ambientale. Non va peraltro dimenticato, in questo discorso, che già oggi più di un quinto della popolazione mondiale è vegetariano. Come è noto però il governo italiano sta combattendo apertamente la transizione verso un’industria alimentare più pulita, perlomeno per quanto riguarda gli allevamenti. Lo scorso autunno per esempio ha vietato il divieto di denominazione “carne” per tutti i prodotti trasformati che contengono delle proteine vegetali; e ancora, ha vietato la carne coltivata (il primo Paese UE ad agire in tal senso), per arrivare infine poche settimane va ad allinearsi al fianco dell’Ungheria contro i cosiddetti novel foods. Ci sono quindi evidentemente due correnti e, per appoggiare quella in proprio favore, l’industria della carne fa disinformazione: vediamo come.
L’azione delle lobby
Stando all’indagine “The new merchants of doubt”, pubblicata dalla fondazione Changing Markets, le grandi multinazionali del comparto della carne hanno già fatto deragliare almeno 10 politiche ambientali del Green deal europeo. Ma non è tutto qui, sono riuscire a fare in modo che il settore agricolo evitasse di prendersi le proprie responsabilità nel Global methane pledge e nell’Inflation reduction act, parte della nuova politica climatica degli Usa. Di fatto il settore zootecnico riesce regolarmente a ottenere delle concessioni, delle esenzioni, nei peggiori dei casi dei rinvii, appoggiandosi a quello che Changing Markets indica con le parole “eccezionalismo agricolo”. Per fare un esempio, in Unione Europea negli ultimi anni sono state proposte diverse nuove leggi per ridurre l’impatto del sistema alimentare, ma queste normative sono state decimate, proprio per l’azione della lobby della carne e dei latticini. È noto per esempio – si legge nell’indagine – che l’associazione Copa-Cogega è riuscita nell’intento di eliminare un nuovo obbligo che avrebbe portato alla riduzione delle emissioni agricole del 30% entro il 2040. Ma come è possibile risultati politici di questo tipo? Sappiamo che 22 aziende produttrici di carne e latticini, dal 2014 a oggi, hanno avuto più di 600 incontri di alto livello con la Commissione EU, seppur siano solo 7 le imprese ad avere dichiarato i propri impegni di lobby. Stupisce quindi scoprire che questi gruppi spendano fino a 11 milioni di euro all’anno proprio per esercitare pressione sui parlamentari.
Come l’industria della carne fa disinformazione
Ma in che modo l’industria della carne fa disinformazione? Stando all’indagine, in Italia sono stati individuati dei picchi di attività “strategica” sincronizzati con il divieto di produzione di carne coltivata. Analizzando su X i cosiddetti “disinfluecer”, ovvero gli account che diffondono informazioni fuorvianti, si è scoperto che l’80% dei più importanti tra quelli attivi in Italia avevano sede negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Svezia: la maggior parte dei loro post partivano dalle teorie cospirative del grande reset, e quindi dalla lotta contro “l’élite globale”. Un terzo di questi disinfluencer aveva esplicite affinità con l’estrema destra. Qui è possibile leggere l’indagine di Changing Marktes.
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