Come si calcola l’impatto ambientale del cibo?
Come calcolare l’impatto ambientale del cibo? Partendo dal fatto che le nostre scelte alimentari hanno delle ripercussioni importanti sulla salute del nostro pianeta, è certamente utile avere un’idea di qual è il diverso impatto dei diversi alimenti. In questo modo sarà più facile seguire una dieta sana, non solo per noi stessi, ma anche per l’ambiente. Vediamo quelli che sono i fattori da tenere in considerazione e quali sono i risultati, a questo proposito, di uno studio tedesco.
Calcolare l’impatto ambientale del cibo: i fattori da tenere in considerazione
Si potrebbe pensare che, per avere un’idea dell’impatto ambientale degli alimenti che portiamo a tavola, sia sufficiente calcolare la quantità di anidride carbonica emessa durante la sua produzione. In realtà le cose stanno diversamente: i fattori da considerare per stimare l’impatto ambientale del cibo sono tanti. Certo, le emissioni di gas serra costituiscono un elemento molto importante, ma c’è dell’altro (oltre al fatto che dovrebbero essere calcolate anche le emissioni relative anche al trasporto e alla conservazione, non unicamente quelle relative alla produzione). Ma è necessario calcolare anche il consumo del suolo legato a una certa produzione: quanta terra è stata usata per quegli alimenti? O, in altri casi, quanto “mare”? Come è noto, la deforestazione è nella maggior parte dei casi causata da esigenze dei settori dell’agricoltura (vedi l’olio di palma) e dell’allevamento. Non va dimenticato poi il consumo idrico correlato a una certa produzione alimentare, né l’uso di fertilizzanti, né ancora l’acidificazione dei mari e degli oceani correlata a una certa pratica.
L’approccio di uno studio tedesco
Uno studio dell’Istituto per l’energia e la ricerca ambientale di Heidelberg, in Germania, ha cercato di dare un quadro di riferimento abbastanza completo sull’impatto ambientale del cibo, tenendo in considerazione non solo le emissioni di CO2, ma anche il consumo di acqua, di energia, di fosfati e via dicendo. Per questo l’indagine è stata suddivisa in tre diversi filoni.
Il primo ha considerato per 200 alimenti aspetti quali il tipo di agricoltura, la produzione media, la produzione nazionale rispetto all’importazione, il tipo di imballaggio usato e l’uso come prodotti freschi o congelati, concentrandosi sulle emissioni di anidride carbonica.
Il secondo filone della ricerca si è invece concentrato sulle impronte altre rispetto all’anidride carbonica, studiando per esempio lo sfruttamento del suolo, dell’acqua e delle rocce fosfatiche. Infine, il terzo filone ha dedicato l’attenzione al processo di preparazione degli alimenti da parte dei consumatori, per sottolineare quanto la ricetta stessa possa cambiare le carte in tavola.
I risultati: l’impatto ambientale degli alimenti
Tenendo in considerazione tutti gli aspetti visti sopra, lo studio tedesco sull’impatto ambientale del cibo ha portato alla creazione di diverse tabelle con i dati dei diversi alimenti. Guardando ai chilogrammi di anidride carbonica correlati ai diversi cibi, si scopre che ogni chilogrammo di mele presenta in media 0,2 chilogrammi di CO2 equivalente, valore che aumenta però fino a 0,8 nel caso di mele che arrivano dalla Nuova Zelanda. Cambia parecchio l’inquinamento dello stesso alimento fresco o in scatola: nel caso dei fagioli, per esempio, si parla di 0,8 chilogrammi di CO2 per il prodotto fresco, e di 1,3 per il prodotto in scatola.
Ecco che allora in genere, per frutta e verdura, l’impatto ambientale più alto è maggiore per i prodotti in scatola; si pensi che i funghi in scatola arrivano a 2,4 kg di CO2, e che l’ananas inscatolato, trasportato in aereo, arriva a ben 15,1 chilogrammi di anidride carbonica.
Tra gli alimenti “peggiori” ci sono il burro (11,5), i formaggi (7), le uova (3), e ovviamente la carne. Nel caso del manzo si parla di 13,6 chilogrammi di anidride carbonica nel caso del biologico, e di ben 21,7 chilogrammi negli altri casi. Il pesce presenta un valore di 3 se selvatico, di 5 se di acquacoltura, e di 10 se congelato.
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