Ecco i campioni italiani dell’economia circolare e della gestione dei rifiuti
La riforma della politica europea sulla gestione dei rifiuti deve diventare al più presto realtà: per questo Legambiente si è presentata a Bruxelles affinché il Parlamento europeo ed il Consiglio trovino al più presto un accordo virtuoso e vantaggioso. Per raggiungere questo scopo, l’associazione ambientalista ha presentato al vicepresidente della Commissione europea Jyrki Katainen e all’eurodeputata Simona Bonafè (che non a caso è stata relatrice del pacchetto sull’economia circolare) le migliori esperienze italiane nel campo dell’economia circolare.
L’Atlante dei campioni dell’economia circolare made in Italy
Non la protesta, non le minacce: per affrettare i tempi della riforma della politica europea sulla gestione dei rifiuti, Legambiente ha scelto la via del buon esempio. Per questo il direttore generale dell’associazione ambientalista Stefano Ciafani, accompagnato da alcuni rappresentanti del nostro Paese in campo di gestione dei rifiuti, ha presentato ai vertici europei l’ultimo dei progetti di Legambiente, ovvero l‘Atlante dei campioni dell’economia circolare made in Italy (#circulareconomy). Al suo interno, non una, non dieci, ma ben 107 esperienze tutte italiane di aziende, startup, associazioni, cooperative, Comuni e realtà imprenditoriali che hanno scelto di investire su dei nuovi modelli per la gestione dei rifiuti, arrivando così a riciclare molte materie prime seconde che in precedenza finivano direttamente in discarica.
Il ruolo primario della gestione dei rifiuti
Ma chi sono questi 107 Campioni dell’economia circolare made in Italy che popolano l’Atlante di Legambiente? Tutte queste realtà premiate, il cui esempio è stato portato fino a Bruxelles, rappresentano al meglio il fior fiore della gestione dei rifiuti e dell’economia circolare del nostro Paese. Per comprendere di quali realtà si sta parlando, basta guardare alle statistiche presentate da Legambiente a Jyrki Katainen: il 33% dei Campioni lavora su scala nazionale, il 24% oltrepassa i confini, mentre il 41% opera su scala regionale e locale. Come si può immaginare, i settori in cui queste aziende e associazioni operano sono i più diversi: il 62% ha a che fare direttamente con la gestione dei rifiuti, il 31% con il riuso ed il riutilizzo dei beni, il 27% con il sociale, il 20% con l’agricoltura, il 19% con l’industria, il 16% con il design e il 15% con la ricerca. Ne consegue ovviamente l’estrema variabilità dei contributi apportati al progresso dell’economia circolare: il 65% punta alla riduzione delle materie prime vergini, il 53% taglia a monte la produzione di rifiuti, mentre il 48% si concentra sul risparmio di tutte le risorse essenziali (oltre alle materie prime, dunque, anche l’acqua e l’energia). Se il 43% delle realtà italiane raccolte nell’Atlante produce materie prime seconde, il 34% le utilizza, mentre se il 38% dei Campioni ricicla rifiuti in cicli produttivi terzi, il 26% riesce a farlo nel medesimo ciclo produttivo. Il 36% delle attività, infine mette in campo attività di riuso e di riutilizzo dei prodotto: come si vede, dunque, la gestione dei rifiuti resta di fatto centrale nella maggior parte dei casi segnalati da Legambiente.
Dagli pneumatici esausti ai pannolini usa e getta
Ma per capire quali sono le attività che rendono tutti queste realtà dei veri campioni nell’economia circolare e nella gestione dei rifiuti bisogna andare oltre alle sole statistiche. C’è per esempio Fater, che ha realizzato a Treviso il primo impianto italiano di riciclo di pannolini usa e getta, così da produrre nuove materie prime seconde. C’è poi Ecopneus, che recupera migliaia di tonnellate di pneumatici esausti per trasformarli in isolanti acustici o superfici sportive. Ci sono poi tutti i barattoli e le scatolette trasformati in chiodi e bulloni da Ricrea, oppure tutta l’attività di promozione per la corretta gestione dei materiali di imballaggio portata avanti dal Conai. Ma gli esempi sono tantissimi: 107, per l’appunto.
La svolta dell’Italia
Legambiente, dunque, ha voluto lanciare alla Commissione un messaggio ben preciso: come ha spiegato Giorgio Zampetti, responsabile scientifico dell’associazione,
«L’Italia è stata conosciuta a livello internazionale per anni come il paese delle emergenze rifiuti, oggi però possiamo avvalerci di tante esperienze di successo praticate da Comuni, società pubbliche e imprese private, che fanno della penisola la culla della nascente economia circolare europea al centro dell’importante pacchetto europeo votato dall’Europarlamento poche settimane fa».
Il ruolo italiano
Come detto, infatti, il Parlamento europeo ha migliorato la proposta fatta dalla Commissione nel 2015, andando ad innalzare in particolare due obiettivi fissati per il 2030: il riciclaggio dei rifiuti urbani viene infatti alzato al 70%, mentre quello degli imballaggi arriva all’80%. Ma non tutto dipende solo ed unicamente da Bruxelles. Come sottolinea Ciafani,
«il nostro governo deve fare la sua parte affinché si realizzi quella che è una strategia moderna e sostenibile per uscire dalla crisi, senza nascondersi dietro le posizioni di retroguardia di alcuni Stati membri che contrastano gli obiettivi sostenuti dal Parlamento. Serve adottare immediatamente nuovi obiettivi europei di riprogettazione dei prodotti e di prevenzione, riuso e riciclo dei rifiuti per ridurre gradualmente il ricorso al recupero energetico, per archiviare lo smaltimento in discarica e per essere meno dipendenti dalle importazioni di materie prime».
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