In Kazakistan una fuoriuscita di metano di 127mila tonnellate
La necessità di lasciarsi i combustibili fossili alle spalle è sempre più palese. Proprio per questo negli ultimi anni si sono moltiplicati gli sforzi, per quanto ancora insufficienti, di sostituire le fonti energetiche inquinanti con quelle nuove e rinnovabili e sostenibili. Via il carbone, via il petrolio, sostituiti da fotovoltaico, solare, eolico, idroelettrico, geotermico, biomasse, e via dicendo. Come è noto però, per rendere meno traumatico questo passaggio e soprattutto per sfruttare ulteriormente quanto messo a disposizione dal sottosuolo, molti produttori di combustibili fossili propongono il gas naturale come “compromesso”. Effettivamente il gas naturale è meno inquinante rispetto al carbone e al petrolio, poiché la sua combustione genera quantità minori di emissioni di anidride carbonica. Diversi studi hanno però dimostrato che questa maggiore sostenibilità (se così si può definire) del gas naturale finisce per essere compromessa dalle grandi perdite di metano che accompagnano tipicamente le operazioni di estrazione e successivamente di trasporto. A dimostrare ancora una volta questa tesi, è stata rilevata una enorme fuoriuscita di metano in Kazakistan, durata per ben 6 mesi. Si tratterebbe di conseguenza della seconda più grande fuoriuscita di metano da una fonte non naturale mai registrata.
La fuoriuscita di metano in Kazakistan
Siamo nella parte Sud-Est del Kazakistan, nel Mangistau, a poca distanza dalle acque salate dal Mar Caspio. Qui l’anno scorso sono iniziati i lavori di esplorazione di un nuovo giacimento, i quali hanno portato, il 9 giugno del 2023, a un’esplosione, che tra le altre cose ha generato una grande fuoriuscita di metano nell’atmosfera. Flusso di gas che, per i mesi successivi, non è stato bloccato: per 6 mesi, fino al 25 dicembre, il gas è continuato a fluire dal sottosuolo all’esterno. A quantificare la portata della fuoriuscita di metano in Kazakistan è stata una società francese, la Kayrros, a partire dall’analisi delle immagini satellitari di quei mesi. Si è così concluso che, tra giugno e dicembre 2023, questo giacimento kazako ha portato a una fuoriuscita di gas metano pari a 127 mila tonnellate. Il dato, va sottolineato, è stato verificato anche dall’Istituto per la ricerca spaziale dei Paesi Bassi e dal Politecnico di Valencia. In un solo caso era stata registrata una perdita di metano superiore da fonte non naturale: si parla dei famigerati sabotaggi dei gasdotti Nord Stream, nel Baltico, che avevano portato a una fuoriuscita di metano stimata in circa 230 mila tonnellate.
Il pozzo kazako da cui è fuoriuscito copiosamente il gas è gestito dalla Buzachi Neft. L’azienda ha smentito i dati di Karryos: a suo dire, non ci sarebbe stata alcuna fuga significativa di metano; la stessa azienda petrolifera ha inoltre spiegato che attualmente si sta lavorando per sigillare il pozzo con del calcestruzzo. Stando a Buzachi Neft, l’indagine portata avanti dai francesi sarebbe scorretta. Nello specifico, i ricercatori avrebbero confuso il vapore acqueo con il metano, e non avrebbero tenuto in considerazione della quantità di metano già presente nell’rea prima dell’esplosione. Karryos, da parte sua, ha spiegato che nessuna delle due affermazioni corrisponde al vero.
Un contributo all’effetto serra pari a 717mila automobili a benzina
Sfruttando un calcolatore messo a disposizione dalla Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti si scopre che la fuoriuscita di metano in Kazakistan avrebbe contributo all’effetto serra tanto quanto l’inquinamento dovuto all’utilizzo di 717mila automobili per un anno intero. Come ricordato da Il Post, peraltro, questa non sarebbe affatto la prima perdita cospicua di gas dai giacimenti kazaki. Certo, consola un po’ il fatto di sapere che il metano resta nell’atmosfera una dozzina d’anni, molto meno di quanto fa l’anidride carbonica (che resiste per oltre 5 secoli); ma non si può certo dimenticare che il metano ha effetti molto più forti sui cambiamenti climatici in corso: stando all’AIEA, infatti, il 30% dell’incremento delle temperature terrestri a partire dall’epoca preindustriale è da ricondurre proprio alle emissioni di metano.
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