Frutta e verdura senza sapore
Agricoltura

Frutta e verdura senza sapore: perché?

“Non sanno di niente”. Quante volte capita di fare la spesa e di comprare prodotti agricoli che sanno di poco o persino di nulla? Pomodori e albicocche, zucchine e fragole, banane e melanzane: ormai tanti consumatori si sono quasi abituati ad acquistare frutta e verdura senza sapore. Ma quali sono i fattori che rovinano il gusto di questo prodotti ortofrutticoli? E per quali motivi i nostri genitori e i nostri nonni mangiavano frutta e verdura con tutti altri sapori?

Il sondaggio su frutta e verdura senza sapore

Certo, ci sono problemi ben più grossi di frutta e verdura senza sapore. Basterebbe limitare lo sguardo al comparto agricolo per sbattere la testa contro il consumo di suolo, la deforestazione, le emissioni di gas a effetto serra, l’uso di pesticidi che mette in pericolo la biodiversità, e via dicendo. Ma questo non significa che non valga la pena indagare intorno alla perdita di sapore degli ortaggi, tanto più sapendo che in fondo in fondo i fattori sono sempre gli stessi, legati strettamente alla produzione agricola intensiva. Partiamo in ogni caso da un dato interessante dal lato dei consumatori: stando a un sondaggio Osservatorio Ismea-Agroter di qualche anno fa, quasi un terzo degli italiani non è soddisfatto dal sapore dei prodotti di origine ortofrutticola. E se da una parte c’è l’insoddisfazione del palato, dall’altra ci sono le ragioni scientifiche, così come individuate negli anni da diversi lavori scientifici.

Perché verdure e frutti non sanno di niente

Come anticipato, i fattori che portano ad avere frutta e verdura senza sapore sono insiti nelle modalità moderne di fare agricoltura: ci sono di mezzo la catena del freddo, l’uso intensivo dei fertilizzanti e la coltivazione in serra. Per capire la perdita del gusto degli ortaggi bisogna però iniziare da una distinzione di base. Esistono infatti frutti climaterici, la cui maturazione può avvenire anche dopo essere stati raccolti, e frutti non climaterici, la cui maturazione cessa invece completamente una volta colti. Nel primo gruppo ci sono frutti come banane, mele e pomodori, tutti prodotti che regolarmente vengono raccolti ancora “verdi” per poi arrivare “pronti” sugli scaffali. Così facendo, però, questi frutti climaterici non riescono ad accumulare una dose sufficiente di amido, il che porta a una ridotta quantità di zuccheri, e quindi della componente aromatica che dà il sapore. Il risultato è quello di avere frutti decisamente belli sugli scaffali, esposti nel momento “migliore”, ma di fatto incompleti, senza il sapore che dovrebbero avere, nonché con delle ridotte sostanze nutritive.

Ci sono però altri elementi da considerare, prima fra tutti la catena del freddo. Uno studio uscito su PNAS nel 2016 aveva per esempio dimostrato come una lunga permanenza sotto i 12 gradi porta alla compromissione degli enzimi, così da compromettere anche il sapore: ecco che allora frutta e verdura che vengono da lontano, e che passano lunghi periodi in celle refrigeranti, vedono scendere gravemente i livelli di sali minerali e di vitamine. In sintesi, al crescere della distanza tra produzione e consumo tende a ridursi il sapore; uno discorso simile va fatto peraltro anche per il consumo di frutta e verdura fuori stagione, che comporta la refrigerazione nonché la creazione di varietà ibride, capaci di crescere in mesi diversi, nonché in serre riscaldate. Ma si sa, senza l’azione dei raggi solari la concentrazione di etilene e di zuccheri non può essere soddisfacente.

Non solo sapore: vengono meno anche i nutritenti

Non si parla però unicamente di frutta e di verdura senza sapore: è stato dimostrato infatti che a venire meno sono anche le sostanze nutritive. Uno studio di 20 anni fa pubblicato Journal of American College of Nutrition aveva infatti spiegato che tra il 1950 e il 1999 oltre 40 specie di prodotti ortofrutticoli avevano conosciuto una riduzione media del 40% di 23 sostanze nutritive. Tra i casi più eclatanti erano nominate le arance: per avere la quantità di vitamina A che negli anni Cinquanta si poteva ricavare da un’arancia, oggi (o meglio, nel 1999) ne sono necessarie 8.