In Norvegia il via all’estrazione mineraria in fondo al mare
La Norvegia come esempio di sostenibilità. Molto spesso questo Paese scandinavo viene citato come esempio da seguire per la sua rapida transizione energetica: si sa per esempio che nell’autunno del 2023 il 93% delle auto vendute era ricaricabile; e ancora, si sa che il più grande parco eolico galleggiante del mondo sarà costruito proprio da questo Paese, per avere una potenza installata pari a 88 megawatt. Ma occhio: si sa anche che la transizione energetica della Norvegia è finanziata su larga scala dai combustibili fossili, che questo stesso Paese continua a estrarre e a vendere all’estero. E si sa anche, per fare un altro esempio, che quello stesso grandissimo parco eolico off-shore in costruzione servirà prima di tutto per alimentare delle piattaforme petrolifere e di gas. Insomma, la politica ambientale norvegese è molto spesso fatta di luminosissime luci accompagnate da lunghe e buie ombre. Ecco allora che sorprende, ma nemmeno troppo, che proprio la Norvegia abbia deciso di permettere l’estrazione mineraria in fondo al mare, pratica che nessun altro Paese ha osato avviare (finora).
Il via libera all’estrazione mineraria in fondo al mare
La decisione in questione, che come vedremo ha raccolto non poche proteste – a partire per esempio da quelle del WWF, come vedremo tra poco – è stata presa il 9 gennaio dal Parlamento di Oslo. Che i fondali marini siano qui e lì ricchi di minerali preziosi, a partire dal cobalto, dallo scandio e dal litio, non è una sorpresa. E certo è noto quanto il mondo intero abbia bisogno di questi minerali, proprio per alimentare la costruzione di batterie indispensabili per accompagnare la transizione energetica. Detto questo, però, nessuno aveva mai pensato di legalizzare l’estrazione mineraria in fondo al mare, nella consapevolezza che questa pratica potrebbe avere danni grandissimi per l’ecosistema marino. Ebbene, i parlamentari della Norvegia la pensano evidentemente in modo diverso, o sono comunque convinti che il gioco valga la candela.
Dove avverranno le estrazioni
Va detto prima di tutto che l’estrazione mineraria in fondo al mare è stata legalizzata solamente nelle acque norvegesi. Tipicamente, i metalli rari ai quali si punta si trovano o nelle piane abbissali ricche di noduli metallici, oppure in corrispondenza di sorgenti idrotermali, lì dove fuoriesce acqua calda o persino caldissima. Nello specifico, l’area su cui la Norvegia ha puntato gli occhi si trova nelle acque artiche, e si estende per circa 281 mila chilometri quadrati; una parte si trova nei pressi delle Svalbard, in un tratto di mare rivendicato da Oslo come propria zona economica esclusiva, seppur con contestazioni esplicite da parte di Russia, Islanda e Regno Unito; un’altra parte si trova in acque internazionali ma sotto giurisdizione norvegese.
I danni per l’ambiente marino (e non solo)
Quel che è peggio è che la decisione della Norvegia di dare il via all’estrazione mineraria in fondo al mare potrebbe essere solo la prima: è noto infatti che ci sono altri Paesi, come Giappone e Cina, che hanno già preso in considerazione questa possibilità. La decisione norvegese, se non contrastata, potrebbe quindi essere un “precedente”. Quali conseguenze potrebbero avere le operazioni di estrazione mineraria nei fondali marini? Se il parlamento di Oslo sostiene che questa attività sia necessaria per supportare la loro transizione verde, va sottolineato che – stando al WWF – “le conseguenze sarebbero catastrofiche per la vita umana e marina”. I danni sarebbero infatti notevoli per la biodiversità e per gli ecosistemi marini, con impatti tra le altre cose anche sulla sicurezza alimentare di miliardi di persone. Non si parla infatti unicamente della perdita di habitat, ma anche dell’inquinamento dei fondali marini, così come riportato in diverse indagini commissionate dal WWF.
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