Esportazione di rifiuti plastici: la Cina respinge il materiale riciclabile degli altri paesi
La Cina dice no all’ esportazione di rifiuti plastici degli altri paesi. Con il 2018 Pechino non accetterà più plastica e carta dall’occidente.
Una crociata contro quella che i cinesi definiscono yanglaji, spazzatura straniera, culminata con l’innalzamento degli standard di purezza del materiale in arrivo. Praticamente una chiusura delle frontiere all’immondizia.
La crisi dell’ esportazione di rifiuti plastici
La Cina nel solo 2016 ha ricevuto, secondo il Bureau of International Recycling, 7,3 milioni di tonnellate di plastica e 27 milioni di tonnellate di carta: il paese tratta da sola la metà globale di questi due materiali destinati al riciclaggio.
Nonostante il valore commerciale delle materie prime recuperabili importate, ovvero 18 miliardi di dollari, le cifre dell’importazione ci fanno capire perché il Paese non vuole essere la “discarica di rifiuti del mondo”.
La Cina ha optato per regole più restrittive su 24 tipi di rifiuti, tra questi le plastiche in PVC (a causa della diossina sprigionata dal loro trattamento), il polistirene delle posate usa e getta (che rilascia stirene se scaldato), il polietilene tereftalato che costituisce le bottigliette di plastica, e i materiali compositi per i liquidi come i cartoni del latte (molto difficili da riciclare).
Pechino ha spiegato questa sua scelta all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) lamentandosi del fatto che molti rifiuti giungono “sporchi”, ovvero non rispettavano le norme per l’avvio al riciclaggio, e spesso mescolati a rifiuti pericolosi per l’uomo e l’ambiente.
“Grandi quantità di rifiuti sporchi o anche di rifiuti pericolosi sono mescolati nei rifiuti solidi che possono essere usati come materie prime” ha scritto Pechino al W.T.O. “Questo ha inquinato seriamente l’ambiente cinese.”
Il no all’ esportazione di rifiuti plastici fa parte della rivoluzione cinese a favore dell’ambiente. Decisione presa sicuramente anche considerando il miliardo e 400 milioni di cinesi produttori in patria di 525.000 tonnellate di rifiuti giornalieri. È comunque pronto un corpo di settantamila “educatori ambientali” per spiegare porta a porta la nascente raccolta differenziata ai cittadini.
Il caos generato dal divieto d’esportazione di rifiuti plastici
Ma quali sono gli effetti del divieto cinese sui paesi che si trovano tutto a un tratto senza una “zona di scarico” del materiale di recupero?
Steve Frank, direttore di alcuni grandi centri di raccolta di materiali riciclabili, ha definito la scelta della Cina “un grande sconvolgimento del flusso di riciclabili globali“.
La chiusura di Pechino all’ esportazione di rifiuti plastici ha infatti generato un immediato accumulo di rifiuti soprattutto in Inghilterra, che ogni anno invia in Cina circa 14 milioni di tonnellate di carta e plastica, ma anche in Irlanda, Stati Uniti, Canada ed Europa.
Il risultato? Forse i governanti stanno prendendo coscienza della massa di plastica utilizzata.
Theresa May ad esempio promette il taglio delle materie plastiche in modo radicale entro 25 anni anche tramite l’introduzione nei supermercati di reparti dotati di soli alimenti sfusi.
Purtroppo una delle soluzioni proposte per far fronte alla crisi è l’utilizzo delle discariche. È l’esempio della Nuova Scozia: il responsabile della gestione dei rifiuti solidi della città ha chiesto e ottenuto il permesso per portare in discarica 300 tonnellate del materiale. Un problema ovvio visto che la provincia esportava l’80% dei suoi rifiuti in Cina.
A Calgary in Alberta invece si attendono tempi migliori. Carta (precedentemente inviata in toto alla Cina) e plastica sono state stipate in ogni posto disponibile: depositi vuoti, capannoni, container, e addirittura rimorchi liberi per un totale di 5.000 tonnellate… I rifiuti sono comunque denaro.
Ora gli stati spostano l’attenzione sugli altri paesi dell’estremo est: Indonesia, India, Vietnam e Malesia anche se le tecnologie e gli impianti non sono attualmente confrontabili con quelli cinesi.
L’Italia? È indipendente.
L’Europa non ha subito un duro colpo dopo la chiusura all’ esportazione di rifiuti plastici. L’UE ha semplicemente dirottato i materiali verso gli inceneritori per farne combustibile.
E l’Italia?
Sulla gestione del materiale riciclabile, nonostante le ripetute e localizzate emergenze rifiuti, l’Italia può ricevere un plauso. Secondo L’Italia del riciclo infatti siamo tra i riciclatori più efficienti d’Europa: il 71% del vetro e l’83% della plastica ritornano nel ciclo produttivo.
Cosa ha di diverso l’Italia? Un rete di piccole medie aziende gerarchiche ed organizzate che riescono a distribuire il lavoro senza esportare grandi quantità all’estero. Anzi, riceviamo il materiale dalla Germania con quale produciamo energia per le grandi metropoli del nostro Paese.
Una spinta verso il cambio di rotta
La chiusura della Cina ha rappresentato sicuramente una doccia fredda per gli stati abituati ad appioppare ai paesi esteri tutta la propria spazzatura senza preoccupazione.
Forse questa “lezione” aiuterà i governi a concepire altri modelli, come il passaggio alle bioplastiche e la riduzione degli imballaggi in materie plastiche riciclabili… Certo potrebbe essere difficile vista l’enorme quantità di materiale addirittura non riciclabile ancora presente sul mercato.
“L’Europa si è concentrata troppo sulla raccolta dei rifiuti di plastica e sulla loro distribuzione, e non abbastanza da incoraggiare i produttori a usarli in nuovi prodotti.” Katrakis, EU
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