New Plastics Economy: l’economia della plastica cambia pelle
Quaranta tra le più grandi aziende del mondo insieme per cambiare l’economia della plastica. Riunite a Davos, si sono accordate su un protocollo comune che mira a limitare i danni provocati dai rifiuti in plastica sull’ecosistema globale. Dal World Economic Forum è nata la New Plastics Economy, un piano che mira a cambiare questo sistema economico per renderlo più compatibile con le esigenze dell’ecosistema. L’annuncio arriva a pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca: l’incertezza sulle politiche ambientali del nuovo presidente americano ha spinto i potenti dell’economia mondiale a fissare delle intese prima che sia troppo tardi.
L’impegno degli attori dell’economia della plastica
“Gli oceani del pianeta sono già pericolosamente inquinati – si legge in una nota – e conterranno più rifiuti di plastica che pesci entro il 2050, se non si interviene con urgenza”. E per rispondere ad un appello lanciato lo scorso anno dalla Fondazione Ellen Mc Arthur, alcune multinazionali come Unilever e Procter and Gamble si sono già impegnate ad aumentare il riciclaggio e ridurre l’uso generale di plastica in prodotti ed imballaggi.
Infatti, proprio P&G ha annunciato il lancio di un nuovo progetto che mira a sfruttare la plastica abbandonata negli oceani per produrre imballaggi sostenibili. Il flacone Head & Shoulders contenente il 25% di plastica riciclata sarà messo in commercio in estate in Europa.
In più, il 7 febbraio H&M ha annunciato il lancio della sua nuova linea Conscious Exclusive Collection, basata su abiti e accessori realizzati con materiale speciale e super tech che ricicla i rifiuti plastici finiti in mare, donandogli una nuova vita. Il progetto non sarebbe stato possibile senza la collaborazione con Bionic, azienda fondata da Tyson Toussant che trasforma la plastica in filato.
L’obiettivo della New Plastics Economy
Durante il meeting di Davos sono stati resi noti dei dati incoraggianti. Il 20% della produzione di plastica dell’intero Pianeta potrebbe essere proficuamente riutilizzato. In aggiunta a questa quota, il 50% può essere riciclato, liberando discariche ed ecosistema. Tuttavia la chiave di volta è una sola: riprogettare e innovare. Infatti, senza questi due elementi chiave “il restante 30% in peso degli imballaggi in plastica non potrà mai essere riciclato e l’equivalente di 10 miliardi di sacchetti di immondizia all’anno sarà destinato a discarica o l’incenerimento”.
Ellen McArthur ha dichiarato che “la New Plastic Economy ha attirato un ampio sostegno e in tutto il settore stiamo rilevando un forte impulso comune in questa direzione”. La più grande velista donna è ormai una presenza fissa al World Economic Forum in Svizzera, assiema ad altre celebrità impegnate nella tutela dell’ambiente come Matt Damon.
Proprio un anno fa la Ellen MacArthur Foundation rese noti i risultati di un report che annunciavano che entro il 2050 negli oceani ci sarebbe stata più plastica che fauna marina. Davanti all’iniziativa di Adidas, che lanciò una scapra fatta in collaborazione con Parley for the Oceans, che sfruttava la plastica recuperata dagli oceani, MacArthur disse: “Non è il modo più efficiente di pulire gli oceani“. Triste, ma vero. Ecco perché l’iniziativa New Plastics Economy ha sollevato numerosi pareri entusiastici. Infatti, il progetto offre una visione di un’economia della plastica globale dove questo materiale non diventa mai un rifiuto.
La New Plastics Economy è un progetto che dovrebbe durare 3 anni per creare una nuova economia della plastica. Applicando i principi dell’economia circolare e coinvolgendo i principali stakeholders nel ripensare e riprogettare il futuro della plastica, si punta a partire proprio dal packaging. Si parte dunque da un meccanismo di dialogo tra i 40 soggetti aderenti. Poi si punta a creare un protocollo sulla plastica globale e a creare innovazioni rivoluzionarie nel campo. Il report presentato – “The New Plastics Economy: Catalysing action” – non mira a fornire una ricetta risolutiva al problema, ma fissa degli obiettivi: arrivare a riusare o riciclare il 70% degli imballaggi in plastica.
Gli attori della New Plastics Economy che cambieranno l’economia della plastica
Ad aggregare i 40 soggetti aderenti al protocollo New Plastics Economy sono stati Amcor, Coca-Cola, Mars, Unilever e Veolia. Proprio Unilever ha annunciato voler utilizzare solo imballaggi in plastica riusabili, riciclabili o compostabili entro il 2025. Il progetto ha attratto anche due grandi realtà – una italiana e una francese – operanti nel mondo della plastica: Novamont e Danone. Novamont, azienda rinomata soprattutto per la produzione dei sacchetti in plastica biodegradabile Mater-Bi, porterà la sua esperienza nel settore delle bioplastiche e nello sviluppo di imballaggi biobased, riciclabili e compostabili ottenuti dall’integrazione tra chimica, filiera agricola e ambiente, in un’ottica di economia circolare.
“La gestione delle risorse non deve essere riassunta come una questione di ottimizzazione dei costi, ma come potente fattore di creazione di valore condiviso”, ha dichiarato Emmanuel Faber, CEO di Danone. “Questa convinzione attraversa tutta la nostra attività, è fondamentale per i nostri rapporti con i fornitori, partner e clienti. Danone ha incorporato i principi dell’economia circolare nella sua catena del valore. Siamo estremamente favorevoli alla New Plastics Economy per trasformare le sfide poste dalla plastica oggi in un’opportunità che potrà domani fornire valore. Sono entusiasta che Danone stia assumendo un ruolo di primo piano in questa iniziativa per aiutare a guidare questo cambiamento sistemico”.
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