Diritto alla riparazione: nuova vita agli oggetti rotti!
Calzolai, arrotini, sarti: nei tempi passati riparare era la regola. Ora invece è l’eccezione.
Oggi un oggetto rotto viene buttato e rimpiazzato immediatamente da uno nuovo in un ciclo che sembra infinito. I tempi però cambiano e il botto del boom economico, piano piano, va esaurendosi lasciandosi dietro i risultati di scelte prese spesso alla leggera. Il momento di crisi economica ci costringe a rivedere le nostre necessità e le nostre priorità, e quindi anche il diritto alla riparazione di un oggetto utile diventa un vero e proprio must salva finanze.
Il diritto a riparare il bene danneggiato si inserisce nella nuova forma mentis della cosiddetta Economia Circolare; essa viene definita da alcuni studiosi come la “rivoluzione indispensabile” che si sta affacciando all’attenzione mondiale contrapponendosi nettamente ai sistemi economici più potenti.
Per l’Economia Circolare il rifiuto in quanto tale non esiste: qualsiasi scarto, se non può tornare biologicamente alla terra, deve re immettersi nel circolo produttivo; proprio per questo motivo non è contemplato il fatto che un oggetto funzionante ma con un solo componente difettoso possa diventare inutile e dannosa spazzatura. Diritto alla riparazione quindi!
Una lotta dura
Dall’altra parte c’è però un sistema ormai consolidato nel quale l’imprenditore è interessato a guadagnare producendo e vendendo oggetti sempre nuovi: si è così instaurato un pessimo meccanismo nel quale le case produttrici progettano i loro beni di consumo in modo sempre più complesso, sempre più ermetico, tenendo per sé qualsiasi segreto di programmazione o componentistica.
Pensiamo semplicemente alla batteria dei cellulari: fino a qualche anno fa potevamo rimuoverla autonomamente quando le prestazioni calavano sensibilmente, oggi questo componente è un tutt’uno con il dispositivo.
I piccoli negozi locali e gli artigiani si vedono quindi sottrarre il lavoro visto che, banalmente, non riescono più a smontare una lavatrice per aggiustarla; la casa produttrice tende infatti a progettare i suoi oggetti in modo tale che cambiare un pezzo diventi praticamente impossibile.
Questo fa sì che il consumatore sia obbligato a rivolgersi a centri specializzati, e ovviamente autorizzati dalla casa madre, che spediscono l’oggetto danneggiato in una sede lontana che in tempi altrettanto lunghi riparerà, se possibile, l’oggetto. Tutto fattibile certo, ma non per la frenesia del mondo occidentale; ormai dipendiamo da alcuni oggetti: chi attende la riparazione del proprio cellulare per venti o più giorni? Sicuramente pochi.
Si è arrivati al punto in cui nella vicinissima Francia è stato introdotto il reato di “obsolescenza prevista”, ovvero l’ideazione di un prodotto progettato per avere una durata limitata nel tempo.
Il diritto alla riparazione
Fortunatamente però tutte le esagerazioni portano ad una reazione che negli USA ha preso il nome di “The RepairAssociation”.
Questa organizzazione, che crede profondamente nella necessità di convertirsi all’Economia Circolare, si batte per un diritto semplice ma spesso dimenticato, ovvero il diritto alla riparazione.
L’associazione, formata da un universo variegato di professionisti, chiede che le industrie forniscano, sia direttamente ai consumatori che ai negozi di riparazione indipendenti, le stesse parti di ricambio e le stesse informazioni che forniscono solitamente solo ai centri autorizzati.
Come comunicato dai vertici, l’associazione “combatterà con gli organi legislativi per tutelare gli interessi di professionisti e autoriparatori, fornendo anche risorse per lo sviluppo professionale alla comunità dei riparatori”.
In prima linea nella lotta per il diritto alla riparazione c’è un portale internet dal nome tutto esplicativo: Ifixit fornisce agli utenti le indicazioni per riparare da soli il proprio computer Windows piuttosto che il proprio cellulare Apple, ma l’azione vuole estendersi anche alle macchine complesse come quelle agricole.
Il motto del sito è “You bought it. You own it.”: tu lo compri, tu lo possiedi. Quando acquisti un oggetto diventa tuo, puoi aprirlo, ripararlo, ma anche modificarlo ed adattarlo alle tue esigenze.
Tra gli esempi virtuosi già approdati anche in Italia c’è Fairphone, il cellulare sostenibile progettato per durare grazie a componenti semplici e assemblati in modo che chiunque possa acquistare i singoli pezzi di ricambio rimpiazzando in modo quasi intuitivo quelli non più operativi.
Ma quali sono le ricadute tangibili del diritto alla riparazione?
Il vantaggio immediatamente percepibile è sicuramente il risparmio di denaro da parte del consumatore che potrà rivolgersi a prezzi concorrenziali agli artigiani ai negozi locali; questi ultimi avvertirebbero un incremento di lavoro che gioverebbe quindi ai lavoratori delle piccole realtà.
Il fattore più importante e che ci coinvolge tutti, però, rimane quello ambientale: ogni nuovo oggetto comporta l’utilizzo di nuova materia, energia per produrla e grossi, grossissimi problemi scaturiti dallo smaltimento dell’oggetto danneggiato. Un esempio lampante sono le cosiddette “terre rare”, indispensabili per i nostri prodotti high-tech ma i cui scarti estrattivi, caratterizzati da alte concentrazioni di elementi radioattivi, inquinano le falde e quindi i raccolti delle zone limitrofe alle miniere.
Riparare un oggetto significa quindi entrare nel circolo virtuoso dell’Economia Circolare, fatto di risparmio economico, rispetto ambientale e umana collaborazione che porterà tutti verso un futuro più sostenibile.
…E perché no, magari riparare i vostri oggetti rotti potrebbe rivelarsi un interessantissimo nuovo hobby!
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