COP26 2021: un riassunto
La COP26, lungamente attesa, è giunta al termine. Come è andata? Per capirlo bisogna fare un passo indietro, e riandare a qualche settimana fa: prendiamo per esempio l’articolo in cui presentavamo il summit internazionale di Glasgow. Lì scrivevamo che la COP26 «non è e non può essere una COP come le altre», rappresentando, a detta di moltissimi esperti, l’ultima opportunità per rallentare concretamente i cambiamenti climatici.
Ebbene, a partite da questi presupposti, e leggendo gli accordi finali, non si può che ammettere che il summit scozzese è stato in buona parte un fallimento. Non è un caso se il riassunto della COP26 fatto dalla nota attivista per il clima Greta Thunberg sia stato “bla, bla, bla”, riprendendo la formula già usata dalla svedese in occasione dell’incontro Youth4Climate: Driving Ambition di Milano.
Certo, si può sicuramente sottolineare il fatto che l’asticella fissata da Greta è notoriamente molto alta rispetto alle effettive intenzioni dei vari governi. È però vero che gli stessi protagonisti degli incontri di Glasgow hanno a loro volta espresso la loro delusione per gli accordi finali. Partiamo per l’appunto dalle loro dichiarazioni per fare un riassunto della COP26.
Riassunto della COP26: una delusione?
Non serve leggere riga per riga gli accordi di Glasgow per capire che la COP26 è stata un’occasione mancata. É sufficiente rifarsi per esempio alle parole del presidente della conferenza, Alok Sharma, il quale durante la conferenza stampa di chiusura si è mostrato eccezionalmente commosso. Sharma si è detto «profondamente frustrato» esternando la propria delusione per l’esito del summit.
Ma non è tutto qui: il presidente della COP26 ha anche puntato il dito contro India e Cina, affermando che questi dovranno «spiegare ai paesi sottoposti al cambiamento climatico perché hanno fatto quello che hanno fatto». Il riferimento è ovviamente diretto ai passi indietro richiesti dai due giganti asiatici, i quali hanno di fatto ridimensionato l’effettiva portata degli accordi.
Lo stesso Boris Johnson, premier del Regno Unito e quindi del paese ospitante, non ha potuto nascondere del tutto il proprio disappunto, spiegando che «la gioia per i progressi fatti è tinta di delusione».
Auimatagi Joe Moeono-Kolio, un rappresentante dei Paesi del Pacifico – i quali come è noto sono maggiormente esposti ai cambiamenti climatici – ha definito sulle pagine del Guardian la COP26 come un «fallimento monumentale», sottolineando che «la soglia di 1,5 gradi è a malapena viva».
Il Patto di Glasgow, in sintesi
Ma cosa si dice nel concreto negli accordi di Glasgow? Il testo approvato è una versione “annacquata” di quello proposto originalmente. Volendo riassumere, Sharma ha spiegato che «abbiamo mantenuto 1,5 gradi a portata di mano ma l’impulso è debole e sopravviverà solo se manterremo i nostri impegni», un’affermazione che appare persino ottimistica nel quadro di un risultato che lui stesso ha definito come “una vittoria fragile”.
Il fatto contro il quale si punta il dito è in particolare la richiesta dell’India, che è riuscita a far accettare una piccolissima ma importante modifica al testo finale: non si parla più di “phase-out”, ovvero di eliminazione graduale del carbone, quanto invece di “phase-down”, ovvero di riduzione graduale del carbone. La differenza, tra “eliminazione” e “riduzione”, è notevole.
Certo, in molti hanno sottolineato il fatto che questa è la prima volta in cui si parla direttamente di combustibili fossili in un accordo finale di una COP (per quanto possa sembrare paradossale). E sì, è vero anche che questa modifica dell’ultimo minuto ha permesso di far restare a bordo degli accordi anche Cina e India.
Il problema è che, leggendo il Patto di Glasgow, si capisce che i passi in avanti per riuscire a contenere davvero l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi sono stati davvero pochi, sicuramente meno di quanti potevano essere concretamente fatti. Si sarebbe potuto fare di più, non fosse stato per il grande interesse di Cina e di India di mantenere alti livelli di sfruttamento del carbone.
Ma sarebbe sbagliato puntare il dito solamente contro i colossi orientali: va anche ricordato, per esempio, che a Glasgow dovevano essere rinnovati o migliorati i propri NDC (Nationally Determined Contributions per la neutralità carbonica) cosa che non è stata fatta in realtà da quasi nessuno dei più grandi produttori di gas serra. Non la Cina, non gli Usa, non l’UE: a fare questo passo, tra i grandi produttori, è stata solo l’India.
Non resta quindi che guardare all’anno prossimo: gli accordi di Glasgow richiedono infatti di ridiscutere gli NDC già alla COP27, che si terrà in Egitto.
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