Cop 23: cosa è successo, e perché è successo
Si è chiusa nella tarda nottata di venerdì la Cop 23 di Bonn. Anzi, a dire il vero, non era già più la notte del venerdì, era quasi l’alba del sabato, ma c’è chi ipotizza che questo prolungarsi delle trattative nelle ore più oscure non sia stato altro che un omaggio formale e forse un po’ teatrale ai riti dell’ecodiplomazia (si espresso più o meno in questi termini Francesco Ferrante, il fondatore di Green Italia), giacché le decisioni da prendere, in realtà, erano già state prese in mattinata. Ma cosa si è detto alla ventitreesima conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici? Forse la domanda vera che in molti si pongono è: c’è stata la Cop 23? Se ne è parlato poco, è stata una conferenza sottotono, niente di paragonabile alla Cop 21 di Parigi di 2 anni fa. Del resto questa reunion delle Nazioni Unite non ha fatto notizia perché, a conti fatti, non si sono fatti grandi passi avanti, e questo si sapeva già nei giorni precedenti. Da un certo punto di vista è un peccato, perché la salute del nostro Pianeta avrebbe bisogno di ritmi molto più veloci per combattere il cambiamento climatico, ma tant’è: forse è meglio guardare il bicchiere mezzo pieno – che a guardare quello mezzo vuoto, visto il costo che queste Cop hanno per i Paesi ospitanti (200 milioni di euro circa), c’è da sentirsi male.
Paesi ospitanti e presidenze di turno: meglio parlarne
Della questione dei Paesi ospitanti non si può certo fare a meno di parlare se si vuole capire quello che è successo a questa Cop 23: si deve infatti parlare delle Isole Fiji e della Polonia. Va sottolineato che questa conferenza, per quanto sia stata ospitata dalla Germania, ha avuto la presidenza delle Isole Fiji, le quali non potevano ospitare un evento di questa portata. Quello della presidenza non è solamente un ruolo formale, no, è qualcosa di più incisivo, e non a caso nella Cop 23 si è parlato soprattutto dei Paesi poveri, della loro sfida di fronte al cambiamento climatico e degli aiuti che dovrebbero ricevere dai Paesi più ricchi. Ma si deve anche parlare della Polonia, di quel Paese che di decarbonizzazione proprio non ne vuole sapere, e che guarda caso, il prossimo anno ospiterà una Cop molto importante. E va anche sottolineato che la Polonia, con un certo senso dell’umorismo nero, ha annunciato che ospiterà questo evento pensato per combattere i cambiamenti climatici a Katowice, nel bel mezzo di una regione dedita all’estrazione mineraria. Insomma, già da qui la prossima conferenza dell’Onu sull’ambiente sembra partire zoppa. Ma perché quella che si terrà tra 12 mesi sarà una riunione particolarmente rilevante. E perché è necessario capire questo punto per comprendere quello che è successo – e non successo – pochi giorni fa alla Cop 23 i Bonn?
La conferenza del 2018, in Polonia, sarà cruciale
Per capire il chiaroscuro della Cop 23 di Bonn bisogna fare un balzo indietro, agli Accordi di Parigi del 2015: in quell’occasione, si decise che nella Conferenza del 2018 si sarebbero dovuti aggiornare gli impegni nazionali. Insomma, questa clausola era stata aggiunta perché già allora – come evidenziarono nei giorni seguenti le associazioni ambientaliste di tutto il mondo – si era capito che le misure decise all’ombra della Torre Eiffel non sarebbero state sufficienti per raggiungere gli obiettivi tratteggiati nella medesima sede (ovvero contenere l’aumento delle temperature entro i 2 gradi, meglio ancora se sotto gli 1,5 gradi). Ecco, questo evento cruciale per le sorti della lotta al cambiamento climatico si terrà proprio in Polonia, paladina internazionale dello sfruttamento del carbone.
I fatti della Cop 23: i finanziamenti ai Paesi più poveri
Su queste basi si può capire cosa è stato effettivamente fatto – e quello che invece non si è fatto – in occasione della Cop 23. Prima di tutto, facendo valere la propria presidenza, le Isole Fiji hanno messo in cima all’ordine del giorno la questione dei finanziamenti che i Paesi ricchi hanno promesso ai Paesi in via di sviluppo. Erano infatti stati promessi 100 miliardi di dollari di finanziamenti annui entro il 2020, ma i conti non tornano alle due parti in gioco: l’Ocse dice di aver già abbondantemente oltrepassato la soglia arrivando a 113 miliardi, mentre i destinatari dei finanziamenti non ne contano più di 50. E sembra che la ragione sia dalla loro parte. A lato di questa discussione è da sottolineare il crearsi di un’alleanza dei Paesi in via di sviluppo. 130 nazioni si sono infatti presentate compatte quanto mai prima d’ora, facendo fronte unito per quanto riguarda gli obiettivi ambientali da raggiungere nei prossimi anni.
Prevenire è meglio che curare
Dall’altra pace, invece, da Bonn non sono arrivate grosse novità perché una buona parte del tempo è stato speso per preparare un percorso obbligato da seguire l’anno prossimo, quando sarà la volta della Polonia. Creare già oggi alcuni documenti per l’anno venturo, infatti, significa rendere difficili eventuali scossoni o deviazioni da parte di Varsavia. Ma cos’altro è successo in questa Cop 23? E cosa hanno fatto gli Stati Uniti di Trump, che dagli Accordi di Parigi ha deciso di uscire? Beh, in realtà l’opposizione statunitense, in questa occasione, è parsa per lo più di facciata: da una parte gli esponenti della Casa Bianca hanno fatto infuriare parecchia gente con un forum sulle potenzialità dei combustibili fossili e del nucleare, ma dall’altra un team di negoziatori del Dipartimento di Stato Usa ha lavorato a fondo per aumentare la trasparenza internazionale quanto ad emissioni nocive.
Le preoccupazioni degli Stati insulari
I leader di stato di molti Paesi insulari del Pacifico, invece, hanno sottolineato il loro disappunto per l’attendismo dei Paesi ricchi, i quali non sembrano capire che molte isole del Pianeta stanno già facendo i conti con le prime drammatiche conseguenze del Cambiamento climatico. Come ha sottolineato Tommy Remengesau, Presidente dell’arcipelago di Palau, «per noi si tratta di vita o di morte, è una questione morale, e richiede una risposta morale».
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