Una comune per la sharing economy: il progetto di Carlo Ratti
Trasformare un vecchio villaggio militare in una comune improntata sui principi della sharing economy: questo il progetto annunciato dallo studio Carlo Ratti Associati. Il Patrick Henry Village di Heidelberg verrà riconvertito in uno spazio dove si potrà vivere, lavorare e creare, tutto in condivisione con le persone che improntano la propria vita alla cooperazione e al principio di inclusione.
La storia del Patrick Henry Village
Il Patrick Henry Village è stato costruito nei primi anni ’50 dalle truppe americane ed è stato evacuato nel 2013. Sui 97 ettari di terreno c’erano baracche, scuole, negozi e spazi ricreativi. L’idea di Carlo Ratti, autore di numerosi progetti rivoluzionari come The Mile e Underworlds e professore di Practice of Urban Technologies al Massachussets Institute of Technology (MIT) di Boston, è stata quella di trasformare il villaggio in una comune incentrata sulle pratiche della sharing economy.
Un’eredità architettonica da valorizzare
Il design del villaggio non verrà completamente stravolto, ma porterà nella sua versione rivista al futuro il suo retaggio suburbano, quello delle costruzioni americane degli anni ’50: quindi rimarranno le villette con garage, ovviamente ristrutturate e in parte demolite, connesse le une con le altre grazie a nuovi spazi, flessibili e adattabili ai principi della condivisione. Alcune strutture in rovina saranno riconvertite in fattorie, così che la natura possa fare il suo ingresso nella vita dei nuovi abitanti del Patrick Henry Village.
Nel progetto si prevede che ad abitare il nuovo Patrick Henry Village siano circa 4.000 persone che dovranno abbracciare un nuovo stile di vita. Tra le novità introdotte nella filosofia di questo nuovo villaggio verrà scoraggiato l’uso di auto private, liberando così i vecchi garage che verranno destinati ad attività creative, come fab-lab in cui coltivare il sapere artigiano.
L’intervista a Carlo Ratti
Abbiamo chiesto a Carlo Ratti di spiegare come si reinterpreta oggi il concetto di comune, esploso negli anni ’60 grazie alla filosofia hippy, partendo da una vecchia caserma tedesca.
Qual è l’origine di questo progetto?
Il progetto nasce e si sviluppa nell’ambito della Internationale Bauausstellung, meglio nota come IBA, un’iniziativa che da oltre un secolo promuove l’avanguardia architettonica in Germania e che oggi a Heidelberg si articola attorno a una nuova idea di città basata sulla conoscenza. La richiesta di una proposta per riattivare il Patrick Henry Village, un ex villaggio militare americano ai bordi della città, ci ha permesso di sviluppare un progetto organico, che coniuga architettura e sperimentazione sociale. Abbiamo iniziato chiedendoci come sarebbe potuta essere, oggi, una “comune” basata sui principi della sharing economy. Da qui l’idea di un villaggio per il co-working e il co-living, dove testare nuove dinamiche abitative.
Per questo progetto – la comune del 21esimo secolo – è partito da un ex villaggio militare: una scelta casuale o dettata dalla voglia di trasformare un luogo di guerra in uno di pace?
La trasformazione di un luogo di guerra in uno di pace è stato il punto di partenza dell’IBA – e ci è parso uno spunto molto bello. Il sito, costruito all’inizio degli anni Cinquanta per ospitare i militari americani, è un’area di circa 97 ettari, che in origine comprendeva caserme, scuole, negozi, aree comuni. Insomma, un perfetto laboratorio per sperimentare nuove dinamiche sociali e urbane. Il complesso è stato abbandonato del tutto nel 2013 e fra poco tornerà a vivere – in modo diverso.
Quali saranno le principali innovazioni introdotte in questo luogo a livello strutturale, tecnologico e sociale?
Ci siamo intanto concentrati sugli spazi e sulle infrastrutture comuni. Abbiamo poi cercato di dare vita ad ambienti flessibili, connettendo alcuni blocchi e riconfigurandone gli spazi interni. L’edificio più iconico sarà quello che abbiamo chiamato Maker Palace, un’unità ispirata al Fun Palace di Cedric Price, protagonista delle avanguardie inglesi degli anni Sessanta-Settanta. Nel progetto il Maker Palace è uno spazio open source, che può essere riconfigurato dagli utenti per adattarsi alle loro necessità. Parlando invece di mobilità, all’interno del villaggio sarà attivo un servizio di automobili autonome in continua condivisone. La speranza è quella di poter cancellare l’idea dell’auto privata e di utilizzare i garage come laboratori creativi, nello stile dei FabLab.
Crede che il concetto di comune sia ancora attuale nella nostra società?
Credo che oggi possa essere investito di significati nuovi, grazie alla rete. In una comune non si condividono solamente gli spazi, ma soprattutto i servizi e le idee. In passato questo portava in molti casi a comunità chiuse su se stesse. Oggi invece possiamo pensare un luogo estroverso, che sappia avviare un dialogo con il resto della città. Un luogo in cui le relazioni si formano in modo dinamico, sia nello spazio fisico sia in quello digitale.
Che tipo di persone abiteranno la sua comune?
In quella che abbiamo ideato speriamo di poter ospitare circa 4000 persone interessate a sperimentare uno stile di vita diverso: studenti, ricercatori, famiglie e chiunque condivida i principi della “buona sharing economy” – mutualità, solidarietà, democrazia – che sono alla base del progetto.
Ti è piaciuto l'articolo?
Condividilo