Surriscaldamento sotto gli 1,5 °C? Possibile, a patto di tenere i combustibili fossili sottoterra
Ce lo ricordiamo tutti: nel 2015, in occasione di quelli che sono diventati famosi come gli “accordi di Parigi”, circa 200 partecipanti alla Cop21 si diedero il limite di contenere il rialzo delle temperature «ben al di sotto dei 2 gradi centigradi» rispetto alle temperature dell’epoca preindustriale. La comunità scientifica è concorde nell’affermare che quel “ben al di sotto dei 2 gradi centigradi” debba essere inteso come “non oltre l’1,5 grado centigrado di aumento”. Quel mezzo grado, infatti, potrebbe tradursi in 10 centimetri in più di innalzamento globale delle acque entro la fine del secolo, a una riduzione del 20% di reperibilità di acqua nell’area mediterranea, alla morte certa delle barriere coralline, e così via. Mantenere l’aumento entro 1,5 gradi centigradi è quindi essenziale, e per farlo, hanno sottolineato degli scienziati in un articolo apparso recentemente su Nature, è necessario mantenere sottoterra i combustibili fossili. L’industria petrolifera, insomma, sarebbe a un passo dalla chiusura.
Combustibili fossili, da non usare e da non estrarre
Da anni è chiaro che i combustibili fossili devono lasciare il posto a fonti di energia pulite e rinnovabili, come il fotovoltaico, l’eolico, l’idroelettrico e via dicendo. Ma per quanto effettivamente possiamo ancora usare benzina, gas naturale e carbone prima di passare la soglia di non ritorno? Se lo sono chiesto Welsby, Price, Pye e Ekins nel già citato studio pubblicato su Nature. Stando alle stime dei ricercatori, per rispettare i paletti fissati a suo tempo dal Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) e di fatto accettati durante la Cop21, dovremmo già adesso abbandonare quasi completamente i combustibili fossili. E se solitamente ci si concentra sull’utilizzo di petrolio, carbone e gas naturale, nello studio l’attenzione viene spostata anche sulla loro estrazione.
Più nello specifico, per avere il 50% di possibilità di mantenere il surriscaldamento globale entro i fatidici 1,5 gradi, entro la fine del secolo non potranno essere emesse più di 580 gigatonnellate di anidride carbonica. Si tratta di un obiettivo possibile ma non facile da raggiungere. Per non oltrepassare quella soglia è d’obbligo dimenticare del tutto la maggior parte delle riserve di combustibili fossili, che dovrebbero quindi restarsene sottoterra, senza essere estratti. Guardando alle riserve conosciute, si dovrebbe rinunciare al 58 per cento delle riserve di petrolio pari a 744 miliardi di barili; al 59 per cento delle riserve di gas naturale, equivalenti a 92mila miliardi di metri cubi; infine, all’89 per cento delle riserve di carbone, stimate in 826 miliardi di tonnellate. Dovendo estrarre solo una minima parte di quanto individuato, sarà bene procedere unicamente con l’estrazione dei combustibili lì dove il lavoro è più facile, meno impattante e più economico. Come ha spiegato Michael Jakob, analista presso il Mercator Research Institute on Global Commons and Climate Change di Berlino, riserve come quelle delle sabbie bituminose del Canada «sarebbero certamente incapaci di competere con altre riserve». Seguendo questa linea dovrebbero essere abbandonate anche le miniere di carbone in Australia, nonché per esempio i giacimenti artici.
Più pessimisti che in passato
Lo studio pubblicato su Nature prende le mosse da un lavoro del tutto simile pubblicato nel 2015, nel quale erano stati indicati dei margini più larghi per l’utilizzo dei combustibili fossili. In quello studio per esempio si diceva che sarebbe stato possibile usare due terzi delle riserve di petrolio, e metà del gas naturale, nonché quasi un quarto del carbone. Questa differenza è da ricondurre a un presupposto di partenza differente: quella ricerca era infatti stata realizzata con l’obiettivo di mantenere il surriscaldamento entro i 2 gradi centigradi, laddove oggi, come anticipato, si punta a non oltrepassare gli 1,5 gradi centigradi.
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