Combattere lo spreco alimentare con il cibo degli astronauti
Potrebbe essere una nuova frontiera per i nostri palati. O un metodo intelligente per ridurre lo spreco alimentare. Il cibo che gli astronauti sono “costretti” a mangiare – per le particolari condizioni ambientali che devono affrontare, su tutte l’assenza di gravità – potrebbe finire dai missili interstellari agli scaffali dei supermercati e quindi sulle nostre tavole. L’idea si sta facendo strada in diverse aziende: alcune operano anche in Italia, ma le ultime novità arrivano dall’Australia.
La lotta agli sprechi
Di cosa si tratta? Sostanzialmente di cibo liofilizzato. Un procedimento che richiede tecnologie all’avanguardia e un certo tipo di macchinari. Il punto è che secondo diverse rilevazioni gli australiani buttano nell’immondizia una quantità di cibo pari a circa dieci miliardi di dollari; di questi dieci miliardi, quasi tre sono prodotti freschi; un problema che ovviamente riguarda anche altri Paesi. All’interno di questa fetta di cibo, sono inclusi anche prodotti che non arrivano nei supermercati per meri fattori “estetici”. Perché, ad esempio, un certo frutto possiede qualche ammaccatura, o piccoli dettagli che lo renderebbero poco attraente sugli scaffali. Un fenomeno che può assumere le sembianze di un gigantesco spreco alimentare, e infatti lo è: in Australia viene respinta una quantità di frutta e verdura tra il venti e quaranta per cento.
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E qui arriva il soccorso spaziale, per così dire. Sunshine Coast, un marchio australiano già rinomato per la vendita di frutta fresca di stagione, ha avviato un comparto per la commercializzazione di cibo liofilizzato che possa concorrere sul mercato, andando incontro sia alle esigenze di coltivatori che altrimenti butterebbero nell’immondizia enormi quantità di frutta e verdura, sia in riferimento alla tutela ambientale, riducendo gli sprechi. Un processo, quello della liofilizzazione, che non è affatto semplice.
Il procedimento
La frutta fresca è sistemata in una grande asciugatrice, quindi viene pressurizzata e congelata, a temperature generalmente oscillanti tra i – 30 e i – 50°C. Il processo prevede quindi l’applicazione di calore all’alimento, mantenuto sottovuoto; è un procedimento noto come “sublimazione”. Con l’aumento della temperatura, il ghiaccio evapora, viene aspirato e il cibo resta secco. Temperatura e pressione devono essere monitorate per impedire che l’alimento in questione possa subire danni. Si passa da uno stato solido a uno stato… solido, senza passare per lo stato liquido. La frutta diventa secca, senz’acqua, croccante.
L’azienda australiana ha iniziato acquistando frutti come la banana, il mango, fragole, mele: dopodiché sta iniziando a sperimentare su latte di cammello o sul cosiddetto “frutto del drago”, su richiesta di allevatori e contadini locali. Il processo può riguardare anche la buccia: quella del “frutto del drago”, ad esempio, è potenzialmente applicabile nel ramo dei coloranti, o può essere utilizzata come ingrediente per frullati o prodotti per la salute. Potrà sembrare uno scienziato pazzo, ma l’amministratore delegato dell’azienda australiano mostra le idee chiare. Intervistato da ABC Australia, Michael Buckley, dirigente dell’azienda australiana, ha spiegato di essere all’opera in esperimenti che riguardano anche il nocciolo dei frutti, ridotti in polvere: ha lavorato anche sulla polpa del cocco, sulle alghe, sulla buccia di avocado.
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“Il cibo degli astronauti”, tuttavia, se promette di poter combattere lo spreco alimentare, ha ancora un costo ragguardevole. Questo perché la tecnologia che conduce al processo di liofilizzazione è estremamente costosa. Il prezzo di un macchinario in grado di svolgere un simile procedimento si può aggirare sui cinquantamila dollari; di conseguenza, anche il nuovo prodotto liofilizzato costerà più del suo omologo fresco.
Il punto sarà trovare un equilibrio tra la possibilità – per gli agricoltori – di combattere gli sprechi o addirittura guadagnare da cibo altrimenti destinato alla pattumiera, e il prezzo giusto che possa stimolare i potenziali consumatori. Esistono inoltre delle difficoltà logistiche: alcuni frutti sono di taglia troppo grande per essere congelati, e dunque andrebbero tagliati in pezzi più piccoli; inoltre bisognerebbe creare una rete che consenta di trasportare rapidamente i prodotti destinati alla liofilizzazione negli stabilimenti predisposti. Tutti temi su cui Buckley si dice ottimista.
I pregi per la salute
Un ottimismo che deriva dai possibili vantaggi che un prodotto liofilizzato può offrire per la salute. Il professor Naumovski dell’università di Canberra – specialista in Scienza dell’alimentazione e della nutrizione – sostiene che i prodotti in questione mantengono gli stessi valori nutrizionali dei loro corrispettivi freschi – a differenza del cibo cucinato in altro modo. Con il vantaggio di poter essere conservati molto più a lungo, aumentando quindi la vita del frutto: i benefici nutrizionali non vanno persi. Ancora: la frutta fresca contiene circa il 75% di acqua, di conseguenza “riempie” di più; un frutto liofilizzato è più leggero da digerire. E a parità di benefici, se ne può dunque mangiare una quantità maggiore con più facilità.
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