cloud seeding contro la siccità
Cambiamento climatico

Cloud seeding contro la siccità: pro e contro

Cinque mesi, fa, il 16 aprile, su Dubai si è abbattuto un violento nubifragio. Nel giro di 24 ore sulla città sono caduti più di 140 millimetri di pioggia, in un’area che, in media, ne conosce 95 all’anno. Praticamente un anno e mezzo di pioggia in un solo giorno. E un centinaio di chilometri a nord di Dubai le precipitazioni erano state ancora più grandi, con 256 millimetri d’acqua in 24 ore. Di sicuro negli ultimi anni il mondo ha registrato una moltitudine di eventi meteorologici estremi, resi via via sempre più frequenti dai cambiamenti climatici in atto. In questo caso specifico, però, c’era un fattore da non trascurare: nei due giorni precedenti, così come dichiarato dal Centro nazionale di meteorologia di Dubai, erano state seminate le nuvole, utilizzando cioè la tecnica del cloud seeding contro la siccità. Negli Emirati Arabi Uniti questa tecnica viene utilizzata come minimo fin dal 2002. È difficile dire quanto l’intervento di cloud seeding contro la siccità abbia effettivamente influenzato il nubifragio: degli esperti interpellati per quell’occasione dalla Bbc da parte loro avevano affermato che il ruolo della semina delle nuvole, se presente, non poteva che essere stato marginale. Cerchiamo di capire meglio questo aspetto.

La messa a punto del cloud seeding contro la siccità, in breve

Come tutti sappiamo, ci sono diverse aree abitate del pianeta che hanno a che fare regolarmente con la siccità, fenomeno che negli ultimi anni è aumentato parecchio, colpendo anche territori che normalmente non hanno a che fare con questo tipo di problema meteorologico. Da qui l’interesse sempre maggiore per l’utilizzo del cloud seeding contro la siccità. Ma di cosa si tratta nel concreto? Questa tecnica ha iniziato a prendere forma a partire dal 1946, quando il chimico e meteorologo americano Vincent Joseph Schaefer iniziò a mettere a punto la semina delle nuvole, peraltro in seguito a un’intuizione che viene descritta come casuale. Di fatto, insieme al Nobel per la chimica Irving Langmuir, scoprì che aggiungendo delle sostanze chimiche alle nuvole era possibile stimolare delle precipitazioni: un primo esperimento ebbe luogo nel novembre del 1946, nel cielo sopra al monte Greylock, nel Massachusetts. Fu descritto come un successo.

La semina delle nuvole, oggi

Il cloud seeding contro la siccità non è fantascienza. Come vedremo tra poco la comunità scientifica è ancora in buona parte scettica, ma è un fatto che sono più di 50 gli Stati che hanno deciso di investire nello sviluppo del cloud seeding, dedicando complessivamente decine di milioni di dollari a questa tecnica. Attualmente chi spinge per l’utilizzo della semina delle nuvole stima che sia possibile aumentare le possibilità di precipitazioni di circa il 30%. Ecco che allora negli Stati Uniti il cloud seeding è utilizzato in modo abbastanza comune. Nell’Idaho, per esempio, si seminano le nuvole d’inverno, per aumentare le precipitazioni nevose: non si parla, come si potrebbe pensare, di un intervento a fini turistici, per innevare le piste da sci, quanto invece di una misura tesa ad aumentare il flusso d’acqua che in primavera andrà ad alimentare le centrali idroelettriche. In Cina si spendono 50 milioni di dollari l’anno nel cloud seeding contro la siccità. Nel 2008, solo per citare un caso particolarmente noto, si decise di seminare le nuvole nei giorni precedenti all’inaugurazione dei Giochi Olimpici, per avere maggior probabilità di avere un’apertura “asciutta”, senza piogge.

Chi guarda con dubbio all’inseminazione delle nuvole

Ci sono diversi metodi di cloud seeding contro la siccità. La tecnica “classica” prevede l’uso di rilasciare tra le nuvole – con dei droni – delle sostanze come lo ioduro d’argento, che favorisce la formazione di gocce d’acqua; un’altra tecnica prevede l’uso di scosse elettriche per stimolare le nubi. Nonostante i grandi investimenti fatti finora, la comunità scientifica continua in generale a prendere le distanze dal cloud seeding, spiegando che ad oggi non c’è ancora una reale dimostrazione dell’efficacia delle tecniche usate. Come sottolineato dall’Organizzazione meteorologica mondiale, peraltro, esistono diverse tipologie di nuvole, e i più differenti fattori che possono influenzare positivamente o negativamente le precipitazioni E ancora, non è tutt’ora chiaro quali conseguenze sul lungo termine possano avere – a livello climatico – questi interventi di inseminazione delle nuvole, laddove invece è certo che le sostanze chimiche utilizzate per il cloud seeding cadono al suolo, e quindi sulle persone, sulle colture agricole nonché nell’acqua che beviamo.