Come mai i cinghiali sono radioattivi (ancora)
Negli ultimi tempi in Italia si è parlato spesso dell’invasione dei cinghiali in città: se nel 2011 erano state registrate due sole città con delle segnalazioni di cinghiali in contesto urbano, ovvero Genova e Trieste, nel 2021 si è arrivati a superare le oltre 100 città. E in effetti in Italia oggi si contano perlomeno un milione e mezzo di cinghiali – secondo i dati Ispra. L’aumento di questi animali è peraltro comune a tutta l’Europa Occidentale, così da allargare sempre di più la “macchia” abitata dai cinghiali, peraltro altamente prolifici. Ma è questa l’unica peculiarità di questi animali: spesso i cinghiali sono radioattivi. È infatti noto da tempo che proprio questi mammiferi presentano un livello insolitamente alto di radioattività, con delle spiegazioni che ad alcuni sono risultate insoddisfacenti. Da qui il desiderio di un gruppo di ricercatori di approfondire il discorso, per capire davvero perché ancora oggi, nel 2023, i cinghiali europei sono spesso radioattivi.
I cinghiali sono radioattivi per Chernobyl, ma non solo
Che spesso i cinghiali sono radioattivi si sa da parecchio, soprattutto in Germania, dove per l’appunto è stato posto il divieto di consumare la carne di specifici esemplari. In genere la radioattività di questi animali selvatici viene ricondotta a quello che è stato l’incidente nucleare più grave e importante del nostro continente, ovvero l’incidente della centrale nucleare di Chernobyl, il quale come è noto ha avuto luogo nel 1986. Ma davvero il disastro della centrale ucraina è sufficiente per spiegare completamente gli alti livelli di cesio radioattivo dei cinghiali europei, in particolar modo di quelli tedeschi? Certo, i livelli di radioattività dopo il 1986 erano cresciuti ovunque in Europa, anche a livello di tanti animali. Ma se in generale questi livelli sono poi diminuiti fino a quasi scomparire, nel caso di cinghiali sono rimasti significativi. E questo è stato giustificato dalla particolare dieta dei cinghiali. Questi infatti d’inverno si nutrono spesso di tartufi (non di rado diversi rispetto a quelli prediletti dall’uomo) i quali si sviluppano proprio lì dove si sono depositati gli isotopi, appena sotto il suolo, trasportati dalla pioggia. E questi isotopi sarebbero particolarmente presenti lì dove la presenza umana è ridotta allo zero: qui non ci sarebbero infatti stati particolari “movimenti di terreno”. Tutte queste spiegazioni non hanno però convinto del tutto un gruppo di ricerca capeggiato da Ben Feng, che quindi ha deciso di analizzare le carni di 48 cinghiali cacciati in Germania, e più precisamente in Baviera, negli ultimi anni.
Le conseguenze dei test nucleari sovietici
Il gruppo di Feng – così come riportato nello studio pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology – ha scoperto che nel 90% dei casi le carni dei cinghiali superavano il livello stabilito dalla legge per quanto riguarda gli isotopi di cesio. Ma di che isotopi si parla per l’esattezza? Nei cinghiali sono stati ritrovati sia il cesio-137 e il cesio-135, i quali, come spiegato dagli scienziati, si presentano in proporzioni diverse in caso di esplosione nucleare o di reattori nucleari. Si è così compreso che i cinghiali sono radioattivi non solo per l’incidente di Chernobyl di quasi 40 anni fa, ma anche per via dei test nucleari effettuati nell’atmosfera terrestre intorno alla metà del secolo scorso, molti dei quali effettuati nei territori dell’ex Unione Sovietica, non lontano dalla Baviera e in generale dall’Europa Centrale.
Cosa è bene sapere
Tra le tante informazioni importanti che ci arrivano da questo studio, c’è il fatto che le conseguenze negative di test nucleari effettuati 60, 70 o persino 80 anni fa sono presenti ancora oggi, a livello della fauna selvatica nonché di una parte marginale ma comunque presente della filiera alimentare.
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