Ci servono davvero altre miniere di carbone? Il caso australiano
Il mondo ha davvero bisogno di altre miniere di carbone? Di fronte alle minacce del cambiamento climatico, di fronte alla progressiva crescita delle tecnologie legate alle energie rinnovabili, di fronte agli impegni presi con gli Accordi di Parigi e di fronte alla riduzione della richiesta di questo combustibile fossile, a che pro aprire nuove miniere di carbone? La domanda si sta facendo sempre più pressante in Australia, dove si è arrivati al vivo della pianificazione per la costruzione della miniera di Carmichael.
Un prestito pubblico di 800 milioni di dollari per una nuova miniera: ha senso?
Ne avevamo già parlato due anni fa, alla vigilia della Cop 21 sul Clima, e ne parliamo di nuovo oggi, giacché la questione non è ancora assolutamente risolta, e si sta anzi assumendo le sembianze di uno scontro finale tra chi si professa favorevole all’apertura di nuove miniere di carbone e chi invece pensa che l’epoca di questo inquinante combustibile sia giunta finalmente al termine. Il teatro di questa contesa sono le televisioni, i giornali e i siti d’informazione di tutto il mondo, ma il luogo esatto è una distesa di verdi pascoli, di acacie e di eucalipto nel cuore del Queensland, a circa 150 chilometri dalla città più vicina. Lì, nell’area conosciuta come Galilee Basin, la società indiana Adani Group vuole costruire un’enorme miniera di carbone, e il governo australiano ha già di fatto dato – almeno in parte – il proprio consenso. Per mettere in opera questo nuovo mostro ambientale il gruppo Adani ha bisogno di un prestito di 800 milioni di dollari. Tutte le banche si sono però rifiutate di concedere questo finanziamento – le ragioni per negarlo, come visto sopra, non mancano di certo. E così Adani ha domandato un finanziamento direttamente al governo australiano, il quale sta prendendo in seria considerazione la cosa, con il primo ministro Malcolm Turnbull che appoggia apertamente il progetto. La pensa più o meno così anche la premier del Queensland, motivando la sua scelta con il fatto che la nuova miniera porterà nuovi posti di lavoro. Ma tornando alla domanda iniziale e pur tenendo conto dell’opinione dei due premier, abbiamo davvero talmente tanto bisogno di miniere di carbone da finanziarne la costruzione con dei soldi pubblici? Quegli stessi soldi non sono forse quelli che dovrebbero essere girati verso le energie rinnovabili, verso progetti di bonifica, verso le nuove tecnologie per risucchiare l’anidride carbonica e via dicendo?
Potrebbe essere la prima di tante nuove miniere di carbone
L’opposizione contro la costruzione di ulteriori miniere di carbone è d’altronde larghissima, sia in Australia che all’estero. Un sondaggio ha per esempio rilevato che circa 2/3 degli australiani sono contrari al progetto di Adani. Un eventuale esito favorevole al gruppo indiano sarebbe un vero e proprio start per l’escalation internazionale nella costruzione di miniere di carbone. Sul breve termine, il nuovo sito porterebbe alla costruzione di un’apposita ferrovia verso la costa, così da rendere in un secondo momento conveniente anche l’apertura di tante altre nuove miniere di carbone lungo la linea. A questo va aggiunto che la ulteriore immissione di carbone australiano – il Paese, con le sue 487 milioni di tonnellate annue, è il 4° produttore mondiale – potrebbe far abbassare i prezzi a livello internazionale, arrivando così paradossalmente a dare nuova linfa al settore. In ogni caso, se l’Australia accetterà davvero di finanziare la nuova miniera, si creerà un precedente che nessuno di noi avrebbe pensato di vedere dopo gli Accordi di Parigi.
Un ulteriore pericolo per la Grande Barriera Corallina
Va sottolineato che la miniera di Carmichael non sarebbe molto distante dalla Grande Barriera Corallina, e che Adami pianifica di utilizzare il porto di Abbot Point (proprio di fronte alla più grande barriera di corallo del mondo) per trasportare il carbone verso l’India, mettendo così in ulteriore pericolo quell’ecosistema fragile e unico. Pur di fronte a queste molteplici minacce ambientali, ci anche molte persone favorevoli alla costruzione della miniera, vedendo in essa la possibilità di una nuova linfa per il mercato del lavoro dell’area. Il gruppo Adani ha infatti promesso 10mila nuovi posti di lavoro, anche se poco dopo un consulente del gruppo ha evidenziato che tale cifra è sovrastimata. E non è tutto qui, in quanto è probabile che – essendo la domanda di carbone in progressiva flessione – all’apertura del nuovo impianto estrattivo dovranno per forza di cose ridimensionare la propria produzione altre miniere di carbone australiane, così da tagliare posti di lavoro altrove.
Le miniere inquinerebbero quanto l’intera Germania
Stando ad uno studio di Greenpeace, quando e se le miniere di carbone di Galilee Basin vedranno davvero la luce, allora le emissioni totali di anidride carbonica dell’area raggiungeranno le 700 milioni di tonnellate annue, praticamente quanto le emissioni totali della Germania. E tutto questo accadrebbe, come anticipato, mentre la domanda di carbone a livello internazionale è in continua flessione, e mentre nella stessa India le centrali a carbone lavorano solo al 60% delle loro possibilità, per la crescente efficienza e convenienza dell’energia solare, eolica e idroelettrica.
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