Climate Litigation: la prima causa civile italiana contro Eni
Sappiamo tutti cos’è l’Eni. Parliamo di un’azienda multinazionale creata dallo Stato italiano nel 1953, e convertita poi in società per azioni nel 1982. Presente in 62 paesi, attualmente resta ancora controllata dallo Stato italiano: oltre il 30% del capitale azionario è infatti in mano al ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa depositi e prestiti. Nel panorama mondiale Eni non è un attore di secondo piano, rappresentando l’ottavo gruppo petrolifero mondiale. Oltre che nel petrolio, la società è attiva nel gas naturale, nella produzione di energia elettrica e nelle rinnovabili. Ebbene, pochi giorni fa è scattata la prima causa civile italiana contro Eni. Perché sottolineiamo la prima? Un po’ perché è probabile che in futuro ce ne siano altre, un po’ perché nel mondo ci sono già state negli ultimi anni tantissime cause contro i gruppi petroliferi come contro parti dell’ente pubblico: si parla delle famose climate litigation, ovvero delle cause legali che hanno come scopo concreto quello di spingere governi e aziende a ridurre in modo concreto e rapido le emissioni inquinanti. Prima di vedere in cosa consiste la prima causa civile italiana contro Eni, vediamo un precedente di climate litigation in Europa.
Climate litigation: il caso dei Paesi Bassi
Ad oggi si contano più di 2.000 climate litigation nel mondo. Negli ultimi anni, e in particolare dal 2015 – non a caso l’anno della COP21 e dei conseguenti Accordi di Parigi – le azioni legali in campo climatico per limitare le emissioni inquinanti sono cresciute in modo quasi esponenziale. Gli esempi a cui fare riferimento sono quindi tanti, ma tra le climate litigation più famose e più simili alla causa civile italiana contro Eni c’è quella che ha visto protagonista – e accusata – Shell, la multinazionale britannica attiva nel settore petrolifero. La disputa ha avuto il teatro dei Paesi Bassi, con diverse organizzazioni ambientaliste che, per conto di oltre 17 mila cittadini, hanno mosso una causa contro Shell: il tribunale, al termine dei lavori, ha deciso di ordinare alla multinazionale del petrolio di ridurre le proprie emissioni di gas serra del 45% – rispetto ai valori del 2019 – entro il 2030, così da essere in linea con quanto deciso al termine della Cop di Parigi.
La prima causa civile italiana contro Eni
La causa civile italiane contro Eni è per molti aspetti simile a quella olandese contro Shell. Qui a presentare la causa sono le due associazioni ReCommon eGreenpeace, nonché 12 cittadini italiani, i quali si presentano come vittime di conseguenze dei cambiamenti climatici. Ma attenzione: non si chiede un risarcimento, quanto invece una condanna di Eni per i danni già fatti e per quelli futuri, sapendo che Eni sta contribuendo consapevolmente ai danni climatici da decenni. La richiesta nello specifico è quella di obbligare Eni a limitare le proprie emissioni totali di gas serra annue di almeno il 45% (rispetto ai valori del 2020) entro la fine del 2030. Come si vede, anche le proporzioni sono quelle già proposte nei Paesi Bassi. Non si tratta di numeri casuali: sono queste le soglie stimate per far rimanere l’aumento delle temperature medie al di sotto degli 1,5 gradi centigradi. Qualora questa richiesta venga accettata, nel caso in cui Eni non riesca o non voglia rispettare l’obbligo, viene richiesta la condanna al pagamento per la violazione (della somma che il giudice stesso riterrà opportuna).
Le critiche nei confronti di Eni
La causa civile italiana contro Eni non è un fulmine a ciel sereno. Un po’ perché le climate litigation come visto sono ormai molto diffuse, un po’ perché ultimamente è stato fatto notare a più riprese che la società del cane a sei zampe sta facendo troppo poco per limitare le proprie emissioni. Nell’indagine Big oil reality check 2023 si scopre per esempio che Eni nel 2022 ha investito 15 volte di più nel campo dei combustibili fossili che in quello delle energie rinnovabili; e ancora, a quanto pare il gruppo sta dando il via a nuove estrazioni di petrolio e di gas, andando di fatto a smentire l’impegno di Eni di azzerrare le emissioni di anidride carbonica entro il 2035.
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