Cambiamenti climatici: le conseguenze sulla salute
Il cambiamento climatico, di cui l’uomo è in gran parte responsabile, sta avendo effetti visibili sulla salute della comunità globale. E’ quanto denuncia il Lancet Countdown 2017, il rapporto pubblicato grazie alla collaborazione di 24 istituti accademici e organizzazioni intergovernative che esamina i progressi in materia di salute e cambiamenti climatici, fornendo una valutazione indipendente degli effetti di questo binomio, dell’attuazione dell’accordo di Parigi e delle implicazioni sanitarie di tali azioni.
Il documento annuale riporta degli indicatori per cinque differenti sezioni: impatti del cambiamento climatico, esposizione e vulnerabilità; gestione dell’adattamento e della resilienza sanitaria; azioni di mitigazione e co-benefici per la salute; economia e finanza; impegno pubblico e politico.
La salute della popolazione mondiale colpita dai cambiamenti climatici
Nonostante la mancanza di dati statistici completi che permettano di fare un’analisi precisa comparata con gli ultimi anni, quelli elaborati fino al 2016, sono impressionanti: circa 125 milioni di adulti sono stati esposti a ondate di calore negli ultimi sedici anni rispetto al periodo precedente (con un picco di 175 milioni nel 2015), intendendo con ondata di calore un periodo di più di 3 giorni durante i quali la temperatura minima è maggiore del 99° percentile dei minimi storici (media del 1986-2008). Di conseguenza, la produttività del lavoro all’aperto, minacciato dall’aumento delle temperature, si è ridotta del 5.3%.
In termini economici, nel 2016 il valore perso da questa riduzione ammonta a 129 miliardi di dollari americani. Alla perdita monetaria si aggiunge quella delle vite umane, in cui gli eventi meteorologici estremi, 2843 registrati solo dal 1990 al 2016, hanno partecipato uccidendo oltre 500mila persone. Non è solo la mortalità a preoccupare, ma anche gli impatti sulla salute mentale, la diffusione di malattie e l’insicurezza alimentare e idrica. Tuttavia, già nel 2015, la Lancet Commission ha stimato che entro la fine del secolo si verificheranno oltre 1.4 miliardi di eventi di siccità e 2.3 miliardi di alluvioni, esponendo la salute pubblica a chiare difficoltà gestionali.
I decessi causati dalle calamità naturali, si legge nel report, avvengono in gran parte nei paesi più poveri. Infatti, le evidenze non mentono: i fenomeni climatici estremi intensificandosi, esacerbano le ineguaglianze sociali, economiche e demografiche nei Paesi a basso e medio reddito, in cui le deprivazioni di carattere sanitario sono per l’appunto fortemente compromesse. Infatti, se non tutte le colpe sono da imputare agli eventi climatici in sviluppo, in 30 Paesi fortemente dipendenti dalla produzione alimentare regionale il numero di persone denutrite è passato da 398 milioni nel 1990 a 422 milioni nel 2016. In termini socio-sanitari, solo per dare un esempio, le condizioni climatiche stanno contribuendo alla crescente capacità vettoriale per la trasmissione della febbre dengue da parte delle zanzare del genere Aedes, principalmente Aedes aegypti e Aedes albopictus, indicando un aumento del 9.4% e 11.1% dal 1950.
Mitigazione ai cambiamenti climatici e migrazioni
La migrazione causata dai cambiamenti climatici è stata al centro della ventitreesima conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici – la COP23- a Bonn, in cui la Presidenza delle Isole Fiji ha posto l’accento sulla difficoltà dei paesi più poveri e vulnerabili nel gestire l’adattamento per contrastare i fenomeni meteorologici estremi sempre più frequenti.
Secondo il Lancet Countdown 2017, 4400 persone sono state costrette a migrare in tutto il mondo per il cambiamento climatico. Tra le cause principali figurano l’innalzamento del livello del mare e l’erosione costiera, le variazioni nelle precipitazioni estreme e medie che, collegate all’alterazione della temperatura, riduce la capacità del terreno arabile, acutizzando i problemi di sicurezza alimentare e idrica. In queste stime sono assenti i fattori combinati che spingono ad allontanarsi dalla propria terra. Fattori che, se considerati, farebbero schizzare i numeri dei possibili migranti da 25 milioni di persone a 1 miliardo di persone entro il 2050.
Cosa si prospetta nel futuro
Nonostante i buoni propositi, dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Rio nel 1992, la situazione non ha subito grossi miglioramenti. Dei passi in avanti sono stati fatti soprattutto grazie agli accordi multilaterali che hanno costretto i governi, almeno apparentemente, a prestare maggiore attenzione ai pericoli sulla salute legati al cambiamento climatico. In particolare, l’Accordo di Parigi ha segnato il giro di boa: non si può più aspettare perché, superato un limite di adattamento, l’intero ecosistema, umanità compresa, non sarà più in grado di sopravvivere. Ma come sottolineato dallo studio, i progressi si sono limitati ad alcuni settori e i provvedimenti riguardanti l’adattamento e la mitigazione non sono stati tali da avvicinarsi ad una soluzione condivisa. Questo ritardo si tradurrà, secondo le stime, in un aumento di temperatura di 2.6-4.8° entro la fine del secolo.
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