Cambiamenti climatici, in Rwanda firmato accordo storico
Cambiamenti climatici: “Una soluzione ambiziosa e di vasta portata a questa crisi incombente”, così il presidente Obama ha definito l’accordo legalmente vincolate che è stato raggiunto il 15 ottobre a Kigali in Rwanda per ridurre in maniera netta l’utilizzo degli idrofluorocarburi – HFCs – , sostanze chimiche impiegate nei condizionatori d’aria e nei frigoriferi. “Abbiamo appena concluso un accordo storico – ha affermato Gina McCharty dell’Environmental Protection Agency – che ci permetterà di prevenire l’innalzamento della temperatura di quasi un grado Fahrenheit entro la fine del secolo”.
Grande entusiasmo anche da parte del segretario di stato statunitense John Kerry che parlando ai negoziatori presenti a Kigali ha dichiarato “è probabilmente il passo più importante che possiamo fare in questo momento per limitare il riscaldamento del nostro pianeta”.
Come gli idrofluorocarburi possono influenzare i cambiamenti climatici
Un documento con un impatto mediatico notevolmente inferiore all’Accordo di Parigi del dicembre scorso, ma che potrà avere effetti uguali, se non maggiori, nella lotta alla riduzione delle emissioni. Mentre il testo di Parigi punta il dito contro veicoli, industrie e altre attività che si servono dei combustibili fossili, l’accordo raggiunto nella capitale del Rwanda ha un unico obiettivo, quello di fermare l’uso degli idrofluorocarburi, sostanze presenti in atmosfera in percentuale minore rispetto agli altri gas ad effetto serra, ma che hanno una capacità mille volte superiore di trattenere il calore. Cosa significa? I raggi solari che penetrano in atmosfera vengono in parte riflessi e in parte assorbiti dalla superficie terreste. La presenza dei gas interferisce con questi meccanismi naturali di riflessione e assorbimento e fa sì che le radiazioni provenienti dal sole non vengano rimbalzate via ma vengano trattenute nell’atmosfera. Ogni gas ha una capacità diversa di interagire con le radiazioni solari ed alcuni più di altri riescono a trattenere calore e, quindi, a creare un innalzamento delle temperature con tutte le conseguenze del caso specie sui cambiamenti climatici. Secondo gli scienziati che hanno seguito l’evento, gli impegni presi in Rwanda potranno scongiurare l’aumento delle temperature di quasi un grado Fahrenheit. Dalle prime stime l’accordo dovrebbe portare ad una riduzione dell’equivalente di 70 miliardi di tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera.
Le principali differenze tra l’accordo di Kigali e quello di Parigi
Frutto di sette anni di trattative tra i paesi industrializzati e i cosiddetti paesi in via di sviluppo, l’accordo sancito nella capitale ruandese ha un valore vincolante, ed è proprio questo l’elemento principale che inserisce questo testo tra gli atti fondamentali nella lotta ai cambiamenti climatici. Una delle grandi sconfitte infatti dei lavori di Parigi è quella di aver prodotto un documento non vincolante e senza meccanismi sanzionatori, che può quindi venire disatteso con facilità. Gli impegni presi alla Cop21 sono poco specifici e suscettibili delle volontà del leader del momento e delle politiche ambientali che deciderà di intraprendere e seguire. Al contrario, a Kigali si è deciso di prevedere delle sanzioni commerciali per chi violerà gli accordi. In contemporanea è stato previsto anche un fondo stanziato dai paesi sviluppati per le economie più deboli, per aiutare la sostituzione degli HFCs con altre sostanze ecocompatibili e per incoraggiare la transizione verso fonti di energia più sostenibile. L’accordo Kigali è “molto, molto, molto più forte di Parigi – ha dichiarato Durwood Zaelke, il presidente dell’Istituto per la Governance e lo Sviluppo Sostenibile -. Si tratta finalmente di un trattato vincolante. I governi sono obbligati a rispettarlo”.
Come già anticipato, tra le altre differenze troviamo il target. Quali sono le attività contro cui si punta il dito? Nell’accordo europeo ci si focalizza sulle diverse attività che possono produrre emissioni di Co2 derivanti prevalentemente dall’utilizzo di combustibili fossili. Nel documento di Kigali, invece, il nemico è solo uno: i condizionatori e gli HFCs impiegati per alimentarli.
Numerose sono le differenze, ma un elemento comune? L’iter dei negoziati. Come per il Paris Agreement infatti le proposte iniziali sono state notevolmente ridimensionate. Nonostante gli entusiasmi dei capi di stato, i negoziatori a Kigali hanno ammesso che l’accordo finale è risultato molto meno efficace del testo iniziale. Gli Stati Uniti e altri paesi industrializzati avevano infatti inizialmente promosso un piano che avrebbe fermato l’uso delle sostanze chimiche che trattengono il calore entro il 2021, riducendo dal 2045 di circa il 15 per cento rispetto ai livelli del 2012. Tale piano avrebbe eliminato l’equivalente di circa 90 miliardi di tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera entro il 2050.
Gli esperti sono sempre molto scettici sull’efficacia dei singoli accordi internazionali per numerosi motivi e insieme probabilmente non riusciranno a risolvere realmente il problema. La nota positiva consiste invece nel fatto che ognuno di questi documenti affronta una parte del problema, dando un taglio specifico ad ogni possibile soluzione.
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