Caldo estremo: è tempo di (ri)guardare il documentario Not Ok sul ghiacciaio scomparso
Fa ancora notizia dire che durante quest’estate, nell’Emisfero Boreale, si sono avuti picchi di caldo da record? Quanto colpisce ricordare che, secondo i dati di Copernicus, l’appena trascorso luglio 2021 è stato il terzo più caldo mai registrato, subito dietro al luglio 2016 e al luglio 2019? Forse poco, forse l’oggettività dei numeri non è poi così potente.
Ecco allora che altri dati, altre immagini potrebbero essere più efficaci per spiegare la portata del cambiamento climatico in corso. Si pensi per esempio alla Groenlandia, e al drammatico scioglimento dei suoi ghiacci. Analizzando i dati di Polar Portal, gestito da un gruppo di scienziati danesi, si può per esempio scoprire che in un solo giorno, il 28 luglio 2021, si sarebbe sciolto abbastanza ghiaccio da coprire l’intera superficie italiana.
Proprio così: parliamo di tanto ghiaccio sciolto da coprire una superficie di 300mila chilometri quadrati con 2,6 centimetri d’acqua. E allora non possiamo che pensare anche ai nostri ghiacciai alpini, che ormai da anni si fanno sempre più piccoli. Il loro destino sembra segnato, destinato a seguire quello del ghiacciaio Okjokull, in Islanda.
Lo scioglimento del ghiacciaio Okjokull
La scomparsa del ghiacciaio Okjokull potrebbe essere considerata come un emblematico simbolo del cambiamento climatico in corso. Parliamo di un ghiacciaio che cento anni fa si estendeva per più di 15 chilometri quadrati di superficie che si innalzava per 50 metri di spessore. Un gigante, una immensa riserva d’acqua.
Oggi non c’è più. Anzi, la sua scomparsa ufficiale è avvenuta nel 2019, anno in cui Ok Glacier, come veniva spesso chiamato Okjokull, ha perso il suo status di ghiacciaio. Ora si parla infatti di una chiazza di ghiaccio di appena un chilometro quadrato, insufficiente per essere ancora definito ancora come “ghiacciaio”.
E proprio nel 2019 l’Islanda ha voluto celebrare questa triste dipartita, con l’installazione sul posto di una targa portante un testo dello scrittore islandese Andri Snaer Magnason. Lì dove c’erano i ghiacci di Okjokull ora c’è quindi una triste “Lettera per il futuro”.
In questa missiva per i posteri si legge “Ok è il primo ghiacciaio islandese a perdere il suo status di ghiacciaio. Nei prossimi 200 anni è previsto che tutti i nostri ghiacciai arrivino a questa conclusione”.
Subito sotto si legge che lo scopo della targa è quello di testimoniare ciò che sta accadendo, e ribadire quello che deve essere fatto, per poi chiudersi con la frase “solo tu sai se noi l’abbiamo fatto”. Nessuna firma è apposta sotto questa lettera. Solo la data, agosto 2019, accompagnata dalla dicitura “415ppm CO2” per ricordare che al momento dell’installazione nell’aria fluttuavano 415 parti per milione di anidride carbonica.
Il documentario “Not Ok”
Confrontare le vecchie fotografie e le immagini satellitari che ritraevano il ghiacciaio Okjokull nei decenni passati con quelle attuali è impressionante. Già nel 2014 il primo ministro islandese Katrin Jakobsdottir aveva del resto twittato “Ok is gone and it’s not OK”, ed è proprio da questa espressione che è nata l’ispirazione per il titolo di un documentario dedicato al Ghiacciaio Okjokull.
Prodotto da due ricercatori statunitensi (Cymene Howe Dominic Boyer), accompagnato dalla voce narrante dell’ex sindaco di Reykjavik, Jón Gnarr, il documentario vuole mostrare le conseguenze del cambiamento climatico sulla gente comune, sulla quotidianità.
Come ha spiegato Boyer il triste destino di OK “sarà condiviso da tutti i ghiacciai islandesi, a meno che non si scelga di agire ora, per ridurre in modo drastico le emissioni di gas serra”. Riferendosi al memoriale ha poi aggiunto che non si tratta di un omaggio nostalgico al ghiacciaio, quanto invece di un messaggio per sottolineare che “spetta a noi rispondere collettivamente alla rapida scomparsa dei ghiacciai e ai continui impatti dei cambiamenti climatici”. A questo link è possibile visionare il trailer del documentario.
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