Bonificare i terreni inquinati si può con le piante
QUALI SONO LE PIANTE CHE MANGIANO L’INQUINAMENTO? La tecnica, chiamata fitorisanamento, utilizza alcuni tipi di piante per risanare aree fortemente inquinate. Le piante vengono selezionate a seconda del tipo di sostanze nocive presenti nel terreno: la canapa e il vetiver, ad esempio, si nutrono di metalli pesanti, la senape indiana assorbe piombo, cesio, cadmio, nichel, zinco e selenio, mentre il girasole elimina nichel e cromo. Anche il pioppo ha la capacità di assorbire notevoli quantità di metalli duri. A seconda delle diverse piante, le sostanze inquinanti subiscono un processo differente: possono essere fitometabolizzate, cioè metabolizzate e trasformate in qualcos’altro; fitodepositate, ovvero accumulate dal vegetale; fitoestratte, cioè recuperate dalla pianta attraverso la combustione delle foglie. Durante il processo di fitorisanamento il terreno deve essere sottoposto a continue analisi per capire l’andamento del processo ed, eventualmente, intervenire con altri tipi di piante.
VANTAGGI E SVANTAGGI. La tecnica di fitorisanamento è già stata utilizzata in Polonia dopo Chernobyl ma anche a Marghera, e ancora in Campania e Puglia. Molti sono i vantaggi: tra questi i bassissimi costi e un impatto ambientale pari a zero. Inoltre, come nel caso della coltivazione della canapa, non solo la pianta purifica il terreno, ma produce anche materiale che trova vario impiego nel capo della bioedilizia. Si può dire che l’unico svantaggio del fitorisanamento è la durata piuttosto lunga dell’intero processo poiché, per ovvie ragioni, serve un certo periodo di tempo perché le piante possano crescere.
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