bloccare l'espansione delle fonti fossili
Energie

Bloccare l’espansione delle fonti fossili: uno spreco di soldi

Sono noti gli impegni climatici dell’UE, che vedono un progressivo venir meno dell’utilizzo dei combustibili fossili, il quale prende e prenderà forma attraverso le più diverse politiche (dagli incentivi all’acquisto di auto elettriche allo stop della vendita delle automobili a carburante, per arrivare ai vari ecobonus). È dunque sorprendente trovare delle iniziative totalmente contrarie a questa volontà collettiva di bloccare l’espansione delle fonti fossili: si pensi per esempio ai miliardi spesi in sussidi ai combustibili fossili, o al fatto che, per sostituire le forniture russe di gas, si sia finito spesso per investire non in energie rinnovabili, quanto invece in altri produttori di gas e petrolio. Scelte che, soprattutto sul lungo termine, appaiono del tutto prive di senso. E a confermarle c’è un rapporto di Oil Change International pubblicato il 21 febbraio, il quale dimostra che – considerando tutti gli scenari di transizione energetica – l’Europa non ha alcun bisogno di finanziare ampliamenti di giacimenti fossili o la costruzione di nuove infrastrutture, né dentro né fuori dal continente. Da qui la richiesta all’Unione Europea di bloccare l’espansione delle fonti fossili.

Perché l’UE deve bloccare l’espansione delle fonti fossili

Stando a Oil Change International, Bruxelles dovrebbe bloccare l’espansione delle fonti fossili, chiedendo quindi che i piani annunciati in Algeria, Norvegia e persino Stati Uniti vengano cancellati. Il motivo è semplice: nei prossimi anni e ancor più nei prossimi decenni, l’offerta energetica sarà sufficiente per coprire completamente la domanda energetica europea. Da qui l’inutilità di portare a termine i progetti abbozzati in UE e nei suoi principali Paesi fornitori per quanto riguarda gas e petrolio. Secondo l’indagine di Oil Change International, non esiste uno scenario allineato con il limite di riscaldamento di 1,5 gradi, così come indicato dagli Accordi di Parigi, in cui l’Europa abbia bisogno di altri combustibili fossili.

Il calo della domanda di fossili in UE

Ipotizziamo uno scenario in cui tutti gli impegni presi dai governi e dalle industrie siano rispettati. In questo scenario, la domanda di gas fossile da parte dell’Unione Europea calerà del 32% entro il 2030. Non solo, quindi, non servono ulteriori impianti: quelli già esistenti perderanno via via motivo d’esistere. Nel 2035, per la precisione – stando allo scenario più ottimistico, certo – l’offerta che già oggi è assicurata dagli impianti e dalle forniture in essere sarà tale da superare la domanda. Per quanto riguarda il petrolio, la domanda da parte dell’Unione Europea, calerà del 30% entro il 2030; anche in questo caso, nessuna espansione è dunque richiesta o necessaria.

Ecco che allora investire in nuovi progetti fossili come quelli che si stanno lanciando in Algeria e in Norvegia vuol dire, di fatto, scommettere contro la transizione energetica, contro il rispetto degli impegni climatici per contenere l’aumento delle temperature e più genericamente i cambiamenti climatici. Solo uno scenario in cui non vengono prodotte nuove politiche climatiche, in cui l’Europa non si muove verso gli impegni presi: ecco, quella sarebbe l’unica possibile realtà in cui l’espansione delle infrastrutture fossili avrebbe senso. Se così, ovviamente, si può dire.

Il fatto di fermare l’espansione delle fonti fossili diventa quindi anche una questione di buon senso, di matematica, sapendo peraltro che il prezzo delle energie rinnovabili diminuisce di anno in anno.