Quale ruolo per i batteri mangia plastica?
Si stima che al mondo vengono prodotte ogni anno 390 milioni di tonnellate di plastica. Se potessimo pesare tutta la plastica attualmente presente sulla Terra, quella peserebbe più del doppio del peso di tutti gli animali terrestri e marini messi insieme. Si calcola inoltre che ogni anno finiscono negli oceani circa 8 milioni di tonnellate di plastica: a galleggiare – e ad affondare – in questi enormi specchi d’acqua ci sono attualmente oltre 150 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Guardando al Mediterraneo, si stima che ogni chilometro quadrato di mare ne contenga fino a 10 chilogrammi. Questi rifiuti si trovano infatti ovunque, dalle superfici dei mari alle profondità degli oceani, dai boschi che circondano le città fino alle vette più alte del pianeta. E in effetti, dopo l’acciaio e il cemento, la plastica è il materiale più usato dall’uomo. È fondamentale da una parte combattere per il recupero e il riciclo di questi rifiuti, senza che questi continuino a inquinare barbaramente l’ambiente; e dall’altra ridurre sempre di più l’utilizzo di questo materiale, a partire dal suo impiego nel mondo del packaging. Negli ultimi anni sono state proposte le più diverse soluzioni, dalle barche che ripuliscono le superfici dei mari alle bioplastiche. E ci sono stati anche diversi studi che hanno indagato il ruolo dei cosiddetti batteri mangia plastica: quale ruolo potrebbero avere nel ripulire il pianeta?
I batteri mangia plastica: dal Giappone alla Germania
Il primo anno in cui si è parlato di batteri mangia plastica è stato il 2016. Quell’anno infatti in Giappone, durante delle ricerche su delle colonie batteriche in una discarica, sono stati individuati dei protobatteri della famiglia delle Comamonadaceae, i quali – per via di una mutazione – risultano in grado di degradare il PET (polietilentereftalato), ovvero una delle plastiche più diffuse. Da quel momento in poi sono stati condotti diversi studi per capire quale ruolo potessero avere i batteri mangia plastica nel “ripulire” il pianeta da questi rifiuti. Uno studio portato avanti dall’Università di Portsmouth per esempio ha provato a rendere più famelici i batteri mangia plastica, aumentando la loro efficacia nel degradare la plastica del 20%; un’indagine condotta dall’Università di Creta, invece, ha testato le reali potenzialità di questi batteri, scoprendo così la loro capacità, in 5 mesi, di ridurre il peso del polistirolo fino all’11% e il peso del polietilene fino al 7%. Come si può capire, quindi, i batteri mangia plastica non possono essere una soluzione a sé stante, né tanto meno lo strumento risolutivo; potrebbero però avere un impiego in futuro. Tanto più che in natura l’azione dei batteri mangia plastica è stata individuata anche altrove.
I batteri marini che degradano la plastica
Come detto, gli oceani e i mari sono pieni di plastica. Alcuni studi però hanno calcolato che in realtà la presenza di questi rifiuti in acqua dovrebbe essere persino maggiore. Dove sono finite le tonnellate “mancanti” di plastica? Il Royal Netherlands Institute for Sea Research di Texer, in Olanda, ha spiegato che il responsabile sarebbe un batterio marino, il Rhodococcus ruber, il quale si è rivelato in grado di degradare e digerire molto lentamente il polietilene, un tipo di plastica piuttosto comune nel mondo degli imballaggi. Tutto inizierebbe con l’azione dei raggi solari, che avviano la scomposizione della plastica; a quel punto entrano in gioco i batteri marini, che riescono a degradare la plastica, seppur a ritmi estremamente lenti.
I microbi alpini e artici che degradano i rifiuti plastici
Altri batteri mangia plastica sono stati inoltre individuati dall’Istituto federale svizzero per la ricerca sulla foresta, la neve e il paesaggio (WSL), il quale avrebbe trovato questi batteri sia tra le Alpi che nelle regioni artiche. In questo caso si parla di microbi capaci di degradare solamente due tipi di plastica, ovvero il poliuretano ricavato da fonti biologiche e il polibutilene adipato tereftalato (PBAT), realizzato da fonti fossili.
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