Aumento delle temperature nell’Artico: 4 volte più veloce che nel resto del mondo
Da anni i climatologi partono dalla situazione climatica dell’Artico per approfondire le proprie stime su quelli che saranno gli impatti del riscaldamento a livello globale. Il presupposto di partenza è semplice: la regione artica si dimostra sensibile anche ai più piccoli cambiamenti. Ne consegue quindi che i cambiamenti sono generalmente più rapidi lì, oltre il Circolo Polare Artico, rispetto a quanto avviene invece altrove sulla terra. Va peraltro sottolineato che, se è vero che anche i più piccoli cambiamenti climatici che avvengono sul globo hanno importanti conseguenze nell’Artico, è altrettanto vero che quanto accade in quelle regioni settentrionali – a partire dallo scioglimento dei ghiacci – può avere a sua volte effetti devastanti per il pianeta. Per questo motivo non può essere trascurato il risultato di uno studio effettuato da un team di ricercatori finlandesi, i quali hanno dichiarato che l‘aumento delle temperature nell’Artico risulta 4 volte più veloce rispetto a quello globale.
Gli studi precedenti sul surriscaldamento dell’Artico
Come detto, da anni l’Artico è al centro degli studi di climatologia. Diverse di queste indagini hanno portato gli studiosi ad affermare che nelle regioni artiche l’aumento delle temperature aumenta più velocemente rispetto a quanto avviene al di sotto del Circolo Polare Artico: si parla tendenzialmente di una velocità doppia. Queste indagini sono partite tutte da punti di riferimento molto lontani nel tempo, confrontando le temperature odierne delle regioni vicine al polo Nord con quelle rilevate nel 1800 o nei primi anni del 1900. E sì, non ci sono dubbi: da questo punto di vista l’aumento delle temperature nell’Artico è “solamente” il doppio più veloce di quanto avviene altrove. Lo studi finlandese di cui parliamo oggi, però, ha cambiato prospettiva, portando a un risultato ancora più preoccupante.
Lo studio finlandese sull’aumento delle temperature nell’Artico
Lo studio in questione, condotto dagli scienziati del Finnish Meteorological Institute, non è partito dalle rilevazioni di 100 o 120 anni fa, quanto invece da quelle effettuate a partire dal 1979. I motivi sono due: a partire da quella data le misurazioni delle temperature oltre il Circolo Polare Artico sono molto più accurate; è più o meno a partire da quegli anni che il cambiamento climatico si è fatto più impattante. A partire dalle misurazione effettuate nel corso dei decenni nei medesimi spot si è capito che in realtà l’aumento delle temperature nell’Artico è in media più veloce di 4 volte, con alcuni luoghi in cui la situazione è persino peggiore. Si pensi per esempio al Mare di Barents, ovvero a quella parte di Mare Glaciale Artico che si trova a nord della Norvegia e della Russia, a sud est delle isole Svalbard: qui l’incremento delle temperature sarebbe stato 7 volte più veloce della media globale. Il Mare Glaciale, gran parte della Groenlandia e le parti settentrionali del Canada, dell’Alaska, della Russia, della Norvegia, della Svezia e della Finlandia hanno quindi vissuto un surriscaldamento estremamente veloce negli ultimi 43 anni: si parla non solo delle temperature, ma anche della rapida perdita di ghiaccio marino e di inverni sempre più brevi.
Lo strato ghiacciato sopra al mare, sempre più sottile
A confermare la situazione drammatica dell’Artico è anche un altro studio, della University of Reading. Un team di ricercatori dell’università britannica sta infatti inseguendo dei cicloni nell’Artico, per mezzo di piccoli velivoli, per capire quali sono le interazioni tra il mare glaciale e questi particolari fenomeno meteorologici. Proprio i cicloni, infatti, tendono a fondere la superficie ghiacciata di questi mari in modo molto rapido, portando a un’ulteriore perdita di ghiaccio. Si tratta del resto di un circolo vizioso, con i cicloni che modificano il ghiaccio, e con quest’ultimo che modifica il comportamento dei cicloni stessi. Come spiegato da uno dei ricercatori, il professor John Methven, «un tempo il ghiaccio arrivava fino alle coste delle Svalbard, ma negli ultimi decenni si è ritirato: ora si trova a circa 400 chilometri di distanza».
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