Il 58% delle grandi aziende è a rischio greenwashing
Pochi giorni fa l’organizzazione per la difesa dei consumatori BEUC (Bureau Européen des Unions de Consommateurs), insieme alle associazioni ClientEarth e ECOS, ha accusato di greenwashing tre giganteschi big del mondo del beverage presso la Commissione Europea . Nomi che tutti conosciamo, ovvero Coca-Cola, Danone e Nestle. Sotto la lente dell’accusa ci sarebbero le affermazioni dei marchi di mettere a disposizione dei consumatori delle bottiglie PET al “100% riciclabile” oppure in plastica “100% riciclata”: affermazioni che secondo BEUC potrebbero portare le persone a considerare queste bottiglie in plastica monouso una scelta sostenibile, cosa che non sono affatto, sapendo che non esiste una plastica davvero circolare, e che solo il 9% delle plastica prodotta viene effettivamente riciclata. E questo è solamente uno dei tanti casi in cui aziende piccole e soprattutto grandi vengono accusate di greenwashing, tanto è vero che un’analisi di Influence Map arriva ad affermare che il 58% delle più grandi aziende internazionali è effettivamente a rischio greenwashing.
Il greenwashing, in sintesi
Negli ultimi anni tutti abbiamo sentito nominare il termine greenwashing: con questa parola si indica un comportamento, una strategia di marketing o un tipo di comunicazione che presenta come sostenibile un’attività quando invece non lo è, andando a nascondere i reali impatti ambientali negativi. A essere accusate di greenwashing va detto non sono unicamente le aziende; anche amministrazioni pubbliche e perfino Governi sono stati accusati di mostrarsi decisamente più green o attenti all’ambiente di quanto lo siano in realtà.
Il 58% delle grandi aziende a rischio greenwashing: il rapporto
La quasi totalità delle aziende ha ormai capito quanto sia importante mostrarsi sostenibili per conquistare o mantenere il favore del pubblico. Ma tra il mostrarsi sostenibili ed esserlo davvero c’è una grande differenza. E purtroppo a quanto pare sono davvero tante le grandi aziende che, anziché impegnarsi davvero nel campo della sostenibilità, optano per la scorciatoia meno nobile: stando a un’analisi di Influence Map è per l’appunto il 58% delle grandi aziende a essere a rischio. Il campione è stato composto con 293 aziende tra quelle presenti nell’elenco Forbes 2000, con i ricercatori che hanno passato al vaglio i rispettivi piani per raggiungere la neutralità climatica. Si è così scoperto che il rischio greenwashing è presente in oltre la metà dei casi, peraltro a livelli differenti: nel rapporto si legge che il rischio è significativo per il 21,5% delle aziende e moderato per un altro 36,5% del campione. Nello studio si legge per esempio che marchi come Chevron, Delta Air Lines, Glencore International e ExxonMobil da una parte fissano degli obiettivi audaci che prevedono l’azzeramento totale delle emissioni, mentre dall’altra continuano a sostenere attivamente lo sviluppo dell’industria dei combustibili fossili, a contrastare il Green Deal Europeo, o ancora, a lottare per rendere più permissive le soglie di emissioni previste per i veicoli. Va detto che secondo i ricercatori c’è un vero problema di fondo che accomuna quasi tutte le aziende: il 93% delle aziende usa termini come “net zero”, ma sono in realtà pochissime le imprese che hanno effettivamente messo in campo delle strategie capaci di raggiungere degli obiettivi di questo tipo.
Verso delle nuove regole europee
Quello del greenwashing è un problema sempre più serio. Per questo a livello europeo si sta lavorando per approvare delle norme ad hoc: a inizio novembre, con 544 voti favorevoli, 18 contrari e 17 astensioni è stata approvata una posizione negoziale su una nuova proposta di direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde. Nel concreto si punta a vietare l’utilizzo di espressioni come “ecologico”, “biodegradabile”, “rispettoso dell’ambiente” o “naturale” in assenza di prove concrete che possano dimostrare queste caratteristiche dei prodotti o dei servizi portati sul mercato.
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