Estrazione di litio: è possibile ridurre l’impatto ambientale?
Per rallentare e fermare i cambiamenti climatici è necessario smettere di sfruttare i combustibili fossili. Per lasciare sottoterra petrolio, carbone e gas è necessario puntare sulle energie rinnovabili, che devono poi andare ad alimentare ogni settore, ogni attività, compresa per esempio quella relativa ai trasporti. Ma per utilizzare l’elettricità nel mondo dei trasporti sono necessari grandi batterie, e di fatto l’unica tecnologia effettivamente spendibile al giorno d’oggi è quella che prevede l’utilizzo di batterie al litio. Le quali sì, ci permettono effettivamente di sperare per un futuro climatico migliore, ma allo stesso tempo comportano impatti ambientali importanti; prima di tutto, sopra ogni cosa, proprio per l‘estrazione di litio. Rischiamo quindi di avere tantissime miniere “sporche” per alimentare le tante bramate auto “pulite”: come uscire da questo paradosso? Esiste un’estrazione di litio più sostenibile? La risposta a quanto pare è sì: si parla dell’estrazione diretta del litio, in sigla Dle.
L’estrazione di litio e il suo impatto ambientale
Cerchiamo prima di tutto di capire qual è l’impatto ambientale dell’estrazione di litio, e quale potrà essere in futuro. Attualmente Paesi come Australia, Cile e Cina producono il 90% circa del litio a livello mondiale. Oggi il mercato vale circa 8 miliardi ma, con il progredire della transizione energetica, arriverà a circa 20 miliardi entro il 2030. Secondo BloombergNef, tra il 2023 e il 2050 la domanda annuale di questo metallo aumenterà di circa 9 volte, per sfiorare i 7 milioni di tonnellate. Sarà possibile per l’attività mineraria mantenere il passo? Ovvero, le miniere riusciranno a continuare a soddisfare questa richiesta? Difficile saperlo con sicurezza. Quel che è certo è che attualmente il 30% circa delle miniere è in mano alla Cina, cosa che all’Occidente non piace per nulla: l’ipotesi di rendersi dipendenti di un Paese autoritario non risulta gradita. E c’è poi il problema decisamente più grande dell’inquinamento legato all’estrazione di litio.
Semplificando al massimo, il litio può essere estratto dalle rocce, come avviene in Australia, oppure dall’acqua salata, come accade in Sud America. La maggior parte del litio viene estratta dalle salamoie sudamericane, che custodiscono oltre il 50% dei depositi globali di questo metallo. Peccato che il metodo corrente per estrarre il litio preveda di far evaporare questi stagni, così da ritrovarsi alla fine del processo tra le mani solo e unicamente questo metallo tanto prezioso. Questo processo è decisamente poco efficiente (si recupera circa la metà del litio effettivamente presente), consuma tanta energia e soprattutto tanta acqua.
L’opportunità dell’estrazione diretta
L’estrazione diretta del litio permetterebbe invece di sfruttare le salamoie in modo meno impattante. Questa tecnologia non prevede l’evaporazione degli stagni: si tratta invece di macchinari che, aspirando l’acqua salata, la filtrano, per estrarre il litio. I vantaggi sono tanti, ovvero ridotto utilizzo di acqua dolce, ingombro minore, tempistiche ridotte, efficienza maggiore (si dovrebbe riuscire a recuperare circa l’80% del litio presente). Con i macchinari per l’estrazione di litio diretta dovrebbe così essere possibile concentrarsi anche in quegli stagni che presentano una concentrazione minore di questo metallo, senza che l’attività risulti economicamente poco profittevole. Tutto rose e fiori? Non proprio: ci sono alcuni ostacoli, a partire dal fatto che le tecnologie per l’estrazione diretto del litio richiedono d’essere personalizzate di giacimento in giacimento, andando quindi a mutare i sorbenti chimici utilizzati, in base alle caratteristiche delle formazioni geologiche presenti. Nei prossimi anni vedremo quanto questa tecnologia prenderà piede, in Sud America come altrove nel mondo.
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