Alto Mare: perché quello raggiunto dall’ONU è un accordo storico
Senza nascondere l’emozione, nella notte di sabato 4 marzo, nella sede delle Nazioni Unite di New York, la presidente della conferenza intergovernativa sulla biodiversità marina delle aree al di là della giurisdizione nazionale Rena Lee ha dichiarato che “la nave ha raggiunto la riva”. Una frase che lì per lì, fuori dal contesto, potrebbe voler dire qualsiasi cosa e, allo stesso tempo, praticamente nulla. Ma per i delegati che stavano ascoltando il suo discorso, il messaggio è stato assolutamente chiaro, tanto da far partire un immediato applauso in sala. E sì, quella metaforica nave ha affrontato un viaggio lunghissimo, fatto di quasi 20 anni di trattative e di dibattiti. Ma alla fine, per l’appunto sabato, si è giunti a un accordo, e quindi alla riva: finalmente è stato firmato il primo trattato per la protezione dell’Alto Mare. Il quale per definizione è lontano da noi e da tutti, e quindi tende a essere trascurato, mettendo però in pericolo l’oceano intero e con esso il pianeta stesso: vediamo quindi perché l’accordo raggiunto dall’ONU sull’Alto Mare ha una portata enorme.
Cos’è l’Alto Mare
Iniziamo con il definire l’Alto Mare. Con questo termine si indica tutta quella massa di superficie oceanica che si trova oltre la zona economica nazionale, e quindi di fatto oltre le 200 miglia dalla costa nel caso in cui sia presente una Zona Economica Esclusiva. Insomma, si tratta del mare lontano da qualsiasi costa, il quale rappresenta circa due terzi della superficie oceanica del nostro pianeta, e quindi di conseguenza circa la metà della superficie della Terra. L’Alto Mare fa parte delle cosiddette acque internazionali, ovvero di quella superficie oceanica che è posta al di fuori delle giurisdizioni nazionali: lì ogni paese può effettuare attività qualo la pesca, la ricerca, la navigazione e via dicendo. Massima libertà, quindi, cosa che però si traduce spesso in minacce pesanti per l’oceano stesso. Nessun governo è infatti disposto a prendersi l’onero di proteggere l’Alto Mare: ecco allora che non c’è nessuno che controlla e assicura la gestione sostenibile di queste immense zone di mare, le quali sono di conseguenza a rischio, per attività di pesca illegale e non solo. Non è quindi un caso se una percentuale compresa tra il 10 e il 15% delle specie marine sia attualmente a rischio estinzione.
Perché l’accordo raggiunto dall’ONU rappresenta un enorme passo in avanti
L’accordo ONU sull’Alto Mare rappresenta uno storico passo avanti per diversi motivi. Prima di tutto perché, per arrivare a questa firma, ci sono voluti quasi 20 anni. Ma è soprattutto il suo contenuto concreto ha essere rivoluzionario. Il Trattato High Seas Treat siglato dall’ONU prevede che entro il 2030 il 30% dei mari del mondo sia considerato come area protetta. Il modo in cui trattiamo gli oceani e i mari è chiamato quindi a mutare in modo importante nei prossimi 7 anni: basti pensare al fatto che attualmente solamente l’1% dei mari è protetto. Greenpeace a questo proposito ha parlato di una vittoria “monumentale”, e non ha tutti i torti: porre sotto protezione enormi parti di oceano significa salvaguardare la vita di migliaia di specie animali e vegetali che abitano i mari del mondo. Si parla di mutare le rotte marittime, di porre dei limiti alla pesca, di mettere un freno alle attività di esplorazione e di controllare l’estrazione mineraria.
Ora la palla passa come sempre ai governi, i quali sono chiamati a ratificare nel più breve tempo possibile il trattato. Nel frattempo è arrivato il plauso della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, la quale ha ricordato che «l’oceano è cibo, energia, vita» e che «ha dato così tanto all’umanità: è tempo di restituire».
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