Ecco il segreto della resistenza delle costruzioni dell’antica Roma
Il Colosseo, che un tempo era conosciuto come Anfiteatro Flavio, è stato inaugurato nell’anno 80. Quella che sorge nel centro della capitale è la prova più lampante della resistenza delle costruzioni dell’Antica Roma. Ma gli esempi sono in realtà tantissimi: pensiamo ai ponti e agli acquedotti romani che sono ancora integri dopo 2 millenni. E ancora, si pensi al Pantheon. Come è possibile che tali strutture siano resistite così a lungo nel tempo, senza cadere su sé stesse per via dell’usura, del passare dei secoli, dei terremoti e via dicendo? Per anni in tutto il mondo i più diversi centri di ricerca sono stati al lavoro per cercare di scoprire il segreto della resistenza delle costruzioni dell’Antica Roma. Ora il quesito ha trovato una risposta precisa, grazie a uno scienziato del MIT di Boston. Il suo nome è Admir Masic, un ex profugo bosniaco che, dopo aver studiato chimica in Italia, è diventato professore associato di ingegneria civile e ambientale al Massachusetts Institute of Technology. Grazie alla sua scoperta è ora possibile sviluppare un nuovo tipo di calcestruzzo, più resistente e maggiormente sostenibile. Ma qual è la caratteristica “segreta” delle strutture romane?
Hot Mixing: il perché resistenza delle costruzioni dell’antica Roma
Tutto parte dall’attento studio del calcestruzzo usato dagli antichi romani. Come spiegato dall’indagine pubblicata sulla rivista scientifica Science Advances, l’analisi molecolare e macroscopica dei materiali usati dagli antichi ha dimostrato che il segreto della resistenza delle costruzioni dell’antica Roma sta nella tecnica chiamata oggi Hot mixing, la quale consiste nell’aggiunta alla miscela di calcestruzzo di calce viva. Quest’ultima, in reazione con l’acqua, riscalda il mix, portando alla formazione di granelli di calce. La presenza di questi grani all’intero del calcestruzzo usato dagli antichi romani era nota da tempo, ma finora nessuno era riuscito a dimostrare che fossero proprio questi piccolissimi elementi la chiave di volta della lunga durata delle loro strutture. Pensiamo a cosa succede in questo speciale calcestruzzo nel tempo: per i più diversi motivi, si possono creare delle piccole fessure. In queste inevitabilmente finisce per entrare dell’acqua, o semplicemente dell’umidità. In un calcestruzzo normale, la crepa finirebbe per allungarsi e allargarsi. Grazie alla tecnica dell’Hot mixing, invece, i granelli di calce si sciolgono al contatto con l’umidità, avviando di fatto un’autoriparazione naturale. Con lo scoglimento dei granelli di calce si avvia infatti la ricristalizzazione degli ioni di calcio, che di fatto va a riparare le fessure create dal tempo.
La storia insegna: maggiore durata, minore impatto ambientale
Una volta scoperta questa peculiarità dietro alla resistenza delle costruzioni dell’antica Roma, ci si è domandati in che modo sfruttarla per rendere il calcestruzzo moderno – e futuro – maggiormente resistente. Ma non è tutto qui: l’obiettivo è anche quello di ridurre l’impatto ambientale del mondo delle costruzioni. Intorno a questa conoscenza di base e a questi ambiziosi obiettivi è stata fondata la startup DMAT (che sta per “dematerialize”, indicando la volontà di dematerializzare l’ecosistema del calcestruzzo). Il lavoro di questo team ha già portato al lancio sul mercato di un nuovo calcestruzzo, chiamato D-Lime.
Come spiegato sulle pagine di la Repubblica da Paolo Sabatini, che insieme a Masic è tra i fondatori di una newco che sta sbarcando negli USA, i processi produttivi del calcestruzzo «sono tra i più impattanti del Pianeta» con una filiera industriale «responsabile dell’8% delle emissioni di CO2». I prodotti che si stanno mettendo a punto potranno essere del 50% più durevoli, a fronte di una riduzione delle emissioni del 20% e di una diminuzione del prezzo del 50% rispetto a prodotti simili.
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