Troppe centrali a carbone attive
Il messaggio lanciato – o meglio, confermato – dalla COP26 di Glasgow del 2021 era stato piuttosto chiaro. Certo, si può affermare senza dubbio che ci si aspettava di più dal summit internazionale scozzese. Ma una cosa è certa: i paesi partecipanti avevano ammesso la necessità di ridurre l’utilizzo di carbone per la generazione di energia. Il pianeta si sta avvicinando velocemente e pericolosamente a toccare gli 1,5 gradi al di sopra dei livelli preindustriali, e proprio per questo non si può permettere nuove centrali a carbone. Al contrario, gli stabilimenti già attivi dovrebbero essere chiusi il prima possibile, lasciando spazio allo sviluppo di impianti per la creazione di energie da fonti rinnovabili. Su questo non ci sono dubbi, e a confermarlo c’è stato anche la International Energy Agency, la quale ha affermato che, vista la situazione, non sono da prendere in considerazione nuove esplorazioni per trovare combustibili fossili. La direzione da prendere sembrerebbe certa e condivisa, non fosse che i numeri relativi alle centrali a carbone attive restano molto alti.
Le statistiche incoraggianti e i dati controcorrente
Indubbiamente ci sono dei numeri che possono lasciare accesa la speranza. Il numero di nuove centrali a carbone in via di sviluppo si è ridotto in modo significativo durante il 2020, proseguendo un percorso iniziato ben prima della pandemia. Il problema è che proprio l’emergenza sanitaria scatenata dal Covid-19, con la conseguente crisi economica, ha portato in molti paesi a mettere in campo progetti per la costruzione di nuovi impianti a carbone.
Stando a un report pubblicato pochi giorni fa dal Global Energy Monitor, nel corso del 2021 la capacità relativa a impianti a carbone in via di sviluppo si è ridotta del 13%, passando dai 525 GW del 2020 ai 457 del 2021. Allo stesso modo, si è ridotto anche il numero di paesi che stanno attualmente progettando nuovi impianti, passando da 41 a 34.
In aumento la produzione degli impianti a carbone
Nel 2020, in piena emergenza Covid-19, la quantità di energia generata a partire da centrali a carbone si era ridotta del 4%. Nel 2021 c’è stata invece un’inversione di marcia, con un aumento del 9%. Come ha spiegato uno degli autori del report di Global Energy Monitor, Flora Champenois, «semplicemente non c’è più budget di carbonio disponibile per costruire nuove centrali a carbone. Dobbiamo fermarci ora. La direttiva contenuta dall’ultimo report IPCC per mantenere un clima vivibile è molto chiara: dobbiamo smettere di costruire nuovi impianti a carbone e chiudere le centrali a carbone attive in tutto il mondo sviluppato entro il 2030, e nel resto del mondo immediatamente dopo».
Più centrali a carbone attive in Cina
Guardando i dati a partire dall’inizio della pandemia da Covid-19, la Cina – da sola – ha commissionato un numero più alto di nuove centrali di carbone rispetto a tutto il resto del mondo messo insieme. Questo pur di fronte al piano cinese di incrementare in modo sostanziale la fetta di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili entro il 2025.
A livello globale attualmente si contano più di 2.400 centrali di carbone attive, posizionate in 79 paesi differenti. In tutto si parla di una produzione pari a 2.100 GW. Sempre secondo il report di Global Energy Monitor, solamente 170 di questi impianti non presentano una data di spegnimento graduale o un obiettivo prefissato di neutralità del carbonio. Sono però troppo pochi gli impianti che, stando alla scaletta, dovrebbero andare in pensione in tempo per evitare il sorpasso dei fatali 1,5 gradi.
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